
La Cop26 è stata un appuntamento vitale per l’Africa che contribuisce in misura minima ai cambiamenti climatici, ma ne sopporta le conseguenze peggiori.
A dieci anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, le emissioni di CO2 dell’Italia sono calate del 20 per cento, ma oggi c’è chi vuole puntare di nuovo su trivellazioni e inceneritori.
Quando l’Italia firmò l’accordo per una riduzione delle emissioni di CO2 del 6,5 per cento entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990, ci furono opposizioni fortissime soprattutto da parte dei settori più conservatori del nostro comparto industriale. Oggi siamo a meno 20 per cento: era un obiettivo possibile e lo abbiamo anche superato. Questo lo dobbiamo in parte alla crisi economica, ma soprattutto è determinato da misure virtuose che hanno portato alla riduzione dell’intensità carbonica del nostro sviluppo economico. Nel 2014 le emissioni di CO2 in Italia sono state circa 410 milioni di tonnellate di CO2.
Sono quasi 30 milioni in meno le tonnellate di CO2 rispetto al 2013, un taglio del 6-7 per cento. Rispetto al 1990, anno di riferimento per valutare i tagli, siamo a meno 110 milioni di tonnellate di gas serra, 170 se si considera il picco raggiunto nel 2005. In pratica abbiamo rispettato gli impegni del Protocollo di Kyoto nonostante quel traguardo sembrava essersi allontanato nel 2005 per l’inerzia del governo che aveva puntato su nucleare, inceneritori, fonti fossili e solo alla fine aveva varato un primo conto energia inefficace. La riduzione è dovuta, secondo tutti gli osservatori, all’aumento significativo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Quindi questo risultato è dovuto proprio alle principali iniziative del governo dal 2006, grazie al secondo conto energia del febbraio 2007 sul fotovoltaico e alle altre norme di sostegno alle rinnovabili e agli incentivi e agli sgravi per le ristrutturazioni edilizie e aziendali finalizzate all’efficienza energetica, il cosiddetto ecobonus. Nel 2007, come ministro dell’Ambiente, sono stato in prima linea nell’approvazione della strategia europea 20-20-20 che ha imposto per la prima volta ai singoli stati membri degli obiettivi di riduzione di CO2, di crescita nelle rinnovabili e nell’efficienza e energetica.
A determinare il successo nel taglio delle emissioni è stato l’aumento dell’efficienza energetica e dell’uso delle fonti rinnovabili che hanno portato a una riduzione della domanda di gas naturale (da 70 a meno di 62 miliardi di metri cubi) e del consumo di carbone (secondo le stime dell’Unione petrolifera in calo del 7 per cento nel 2014). Nel 2014, le stime preliminari di Terna indicano un aumento del contributo dell’idroelettrico, da 54 a 58 terawattora (più 7,5 per cento) e del fotovoltaico, da 21,2 a 23,3 terawattora (più 10 per cento). Oggi la produzione di energia rinnovabile copre attorno al 42-43 per cento della produzione nazionale e al 36-37 per cento del fabbisogno elettrico.
In occasione di questo decimo compleanno dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto (16 febbraio 2005) del tutto trascurato dal governo servirebbe una sana “operazione verità” con un grazie doveroso a quel nostro governo diffamato da lobby e consorterie varie, ma soprattutto serve un’autocritica sui disastrosi anni successivi e una svolta rispetto alle recenti scelte scellerate del decreto competitività prima e dello “Sblocca Italia” dopo.
Di fronte agli allarmi sempre più preoccupati e documentati delle Nazioni Unite, alle bombe d’acqua, al nuovo record del 2014 (anno più caldo dall’inizio delle rilevazione) occorrono scelte coerenti, abrogare le norme contro le rinnovabili (spalma incentivi e tassa su autoconsumo) e per i combustibili fossili (il sostegno a trivellazioni petrolifere nei mari e nelle campagne, agli inceneritori e a vecchie centrali a gasolio e carbone).
Inoltre l’Italia deve riprendere quel ruolo abbandonato dal 2008: lavorare per ottenere una vera svolta verde mondiale nel programma Onu per il post 2015 e nel nuovo accordo sul clima da approvare a Parigi alla Cop 21 di dicembre 2015. Se il mondo fallirà a Parigi, la lotta ai cambiamenti climatici sarà persa.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
La Cop26 è stata un appuntamento vitale per l’Africa che contribuisce in misura minima ai cambiamenti climatici, ma ne sopporta le conseguenze peggiori.
Com’è andata la Cop26, un commento a mente fredda sulla conferenza sul clima di Glasgow. Non è ancora il tempo per abbandonare la speranza.
L’intesa punta al 2035 per la definitiva affermazione dei mezzi a zero emissioni. Il nostro paese non firma, sì dalle città di Roma, Firenze e Bologna.
Sabato 13 novembre, un giorno più tardi del previsto, è terminata la Cop26. Luci e tante ombre nel Patto di Glasgow sul clima, indebolito dall’India.
Nella mattinata di sabato 13 novembre è stata diffusa una terza bozza di dichiarazione finale alla Cop26 di Glasgow.
La parità di genere è a pieno titolo un tema della Cop26, perché le donne sono particolarmente esposte alle conseguenze dei cambiamenti climatici.
Gli inviati alla Cop26 di Cina e Stati Uniti hanno annunciato, a sorpresa, una cooperazione per abbattere le emissioni di gas ad effetto serra.
Dalla Cop26 ci si attendono anche risposte chiare sulla necessità di operare una transizione ecologica che sappia garantire la parità di genere.
All’alba di mercoledì 10 novembre, dopo una notte di negoziati, è stata pubblicata la prima bozza di accordo alla Cop26 di Glasgow.