Il documentario Jane racconta la vita e le straordinarie scoperte della primatologa più amata al mondo.
Cos’è il galagone, la misteriosa proscimmia africana
Durante le notti africane è possibile che, nel folto degli alberi, due piccole palline rosse scrutino ogni movimento, è il galagone.
I galagoni (Galagidae) sono delle buffe creature, caratterizzate da enormi occhi sferici e grandi orecchie. Nonostante il loro aspetto questa famiglia di animali africani, che comprende cinque generi, è imparentata con la nostra specie, sono infatti proscimmie, un sottordine dell’ordine dei primati.
Galagone by night
Non più grande di un gatto, il galagone è un animale notturno, durante il giorno vive nascosto sugli alberi per uscire la notte alla ricerca di cibo. Grazie alle lunghe zampe posteriori, i galagoni fanno grandi salti da un ramo all’altro e si muovono sul terreno come piccoli canguri. Hanno una vista straordinaria, un olfatto eccellente ed un ottimo udito. Gli occhi frontali sono talmente sensibili alla luce che consentono di vedere chiaramente anche nella quasi completa oscurità. Una volta che i raggi luminosi attraversano la retina rimbalzano indietro grazie ad una struttura riflettente chiamata tapetum lucidum. È proprio questa struttura che è responsabile della luminescenza degli occhi nell’oscurità.
La dieta del galagone
Grazie alle zampe anteriori e posteriori i galagoni sono capaci di afferrare oggetti e fare presa sui rami. Un solo dito di ciascun piede è dotato di un artiglio che il galagone utilizza per riassettare la pelliccia della testa, mentre per pulire il resto della pelliccia utilizza gli incisivi che formano una specie di pettine. I galagoni sono animali prevalentemente insettivori, grazie all’eccellente udito localizzano la preda, l’afferrano con le manine e la portano alla bocca ingerendo per prima la testa. Per evitare che le zampe delle prede, come coleotteri, falene o cavallette, possano danneggiarli, durante il pasto i galagoni chiudono gli occhi e ritraggono le orecchie.
Bush baby
I galagoni sono anche soprannominati “bush babies”, ovvero “bambini della selva”, per via dei loro peculiari tratti neotenici (ovvero quelle caratteristiche morfologiche e fisiologiche tipiche delle forme giovanili, come appunto gli occhioni e i lineamenti morbidi), ma anche per le ridotte dimensioni e perché emettono un verso che ricorda il vagito dei bambini.
La conservazione dei galagoni
È difficile stabilire con esattezza l’effettivo stato di conservazione di questi piccoli primati, le loro abitudini notturne ne rendono complicato lo studio inoltre spesso vivono in regioni politicamente instabili. Molte specie di galagone, come il galagone nano (Galagoides zanzibaricus), il galagone gigante bruno (Otolemur crassicaudatus), il galagone di Grant (Galagoides granti), il galagone di Demidoff (Galagoides demidovii), il galagone del Senegal (Galago senegalensis), il galagone sudafricano (Galago moholi), il galagone dalle unghie ad ago occidentale (Euoticus elegantulus) e il galagone di Bioko (Sciurocheirus alleni) sono classificate come “a rischio minimo” dall’Unione internazionale per la conservazione della natura.
Primati in pericolo
Un recente studio, pubblicato nel gennaio del 2017 sulla rivista Science Advances, ha però rivelato che circa il 60 per cento dei primati, tra cui anche i galagoni, è a rischio estinzione. Secondo i ricercatori anche le specie che non corrono il rischio immediato di scomparire sono in pericolo. Alejandro Estrada, primo autore dello studio e ricercatore senior all’Università Nazionale Autonoma del Messico, ritiene che solitamente negli studi condotti su primati specifici in aree specifiche “l’elemento mancante è sempre una comprensione più ampia dello stato di conservazione e delle minacce per tutti i primati”.
Primati primitivi?
Studiare i galagoni può fornirci molte informazioni sull’evoluzione della nostra specie. Queste proscimmie sono infatti primati ancestrali e alcuni comportamenti, come le strategie riproduttive (che nel galagone sono poliginiche, ovvero la strategia riproduttiva in cui un maschio si accoppia con più femmine) e le strutture sociali potrebbero essere quelle dei primati primitivi. Mentre un tempo le proscimmie erano considerate “primati inferiori”, oggi recenti ricerche hanno dimostrato la complessità “di sistemi sociali in cui le strategie di foraggiamento solitario non escludono altre forme di interazione tra i vari individui e in cui i modelli di comportamento non risultano rigidi ma consentono un elevato livello di variabilità”, si legge nel libro “La scimmia e il cacciatore. Interpretazioni, modelli sociali e complessità nell’evoluzione umana”, di Francesca Giusti.
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