
Il documento è stato approvato dal gabinetto di sicurezza di Israele e prevede anche il trasferimento forzato di migliaia di palestinesi verso Sud.
Dall’Unione europea al Regno Unito, passando per il Canada, crescono le misure diplomatiche contro Israele. Che però va avanti con il genocidio a Gaza.
Nei giorni scorsi l’Unione Europea ha preso per la prima volta una posizione netta e concreta contro le azioni di Israele nella Striscia di Gaza, annunciando la revisione dell’Accordo di Associazione in vigore dal 2000. Parallelamente, il Regno Unito ha sospeso le negoziazioni per un accordo commerciale con Israele, mentre anche il Canada e perfino gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione per quello che Israele sta facendo nel territorio palestinese.
Sembra che nelle ultime settimane la presa di distanza da Israele e dal genocidio che sta compiendo nella Striscia di Gaza si sia estesa ben al di là dell’opinione pubblica e abbia riguardato anche la comunità internazionale. Un segnale che il clima sta cambiando intorno al paese guidato da Benjamin Netanyahu, che nel frattempo continua a bombardare indiscriminatamente il territorio palestinese, mentre a livello diplomatico si continua a discutere di un cessate il fuoco.
Negli ultimi giorni c’è stato un cambiamento radicale nell’approccio della comunità internazionale verso Israele. Il 20 maggio l’Unione Europea ha annunciato la revisione dell’Accordo di Associazione con Israele in vigore dal 2000. La decisione è stata presa dopo una riunione del Consiglio Affari Esteri a Bruxelles, con il sostegno della maggioranza degli stati membri (Italia esclusa). L’articolo 2 dell’accordo, che impone il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, è stato al centro delle preoccupazioni, alla luce delle gravi violazioni israeliane a Gaza.
Parallelamente, il Regno Unito ha sospeso le negoziazioni per un accordo commerciale con Israele, citando l’offensiva militare e il blocco umanitario a Gaza come motivi principali della sua decisione. Il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, ha definito “moralmente ingiustificabile” lo spostamento forzato di massa causato dai bombardamenti israeliani e ha annunciato nuove sanzioni contro coloni israeliani e insediamenti illegali in Cisgiordania. Anche la Spagna ha preso una posizione contro Israele, con il premier Pedro Sánchez che l’ha definito “uno stato genocidario” con cui non si vogliono più fare affari commerciali. Friedrich Merz, cancelliere della Germania, ha sottolineato che “le azioni militari di Israele “non possono più essere giustificate dalla lotta al terrorismo di Hamas”.
Perfino il presidente statunitense Donald Trump, punto di riferimento diplomatico per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, durante la sua visita in Medio oriente ha espresso preoccupazione per il popolo palestinese che sta morendo di fame a Gaza, dove – parole sue – “stanno succedendo molte cose brutte” (nel frattempo però ha aumentato la repressione verso le università statunitensi per le proteste anti-israeliane). Restando nel continente americano, anche il Canada ha preso una posizione chiara contro l’offensiva israeliana, definendola “disproporzionata” e minacciando sanzioni se non verrà posto fine al blocco umanitario.
Questo cambio di direzione da parte della comunità internazionale, dopo che da mesi l’opinione pubblica globale scende in piazza e alza la voce contro il genocidio, ha proprio in quest’ultimo aspetto la sua ragione. Ma anche nel fatto che le azioni israeliane si sono fatte mese dopo mese sempre più brutali.
Da inizio marzo Israele ha bloccato l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e ha ripreso a bombardare pesantemente abitazioni, ospedali, scuole e altre strutture civili. Nelle scorse ore l’esercito ha annunciato di aver lanciato un “attacco senza precedenti” sulla località di Khan Younis, mentre un bombardamento su un’abitazione di una dottoressa palestinese ha ucciso nove dei suoi dieci figli. Un altro attacco su edificio per sfollati a Gaza City ha causato almeno 40 morti e le immagini dei bambini avvolti dalle fiamme hanno fatto il giro del mondo. Nelle scorse ore la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), ong creata da Israele con il sostegno degli Stati Uniti per prendere in gestione la distribuzione degli aiuti a Gaza estromettendo l’Onu e le altre centinaia di realtà umanitarie operandi nel territorio palestinese, ha iniziato a distribuire i primi pacchi, secondo uno schema che è stato definito discriminatorio e deficitario.
Il governo israeliano da settimane continua a ripetere che l’obiettivo finale è l’occupazione di tutta la Striscia di Gaza, con tanto di trasferimento forzato della sua popolazione all’estero. Nel frattempo però si continua a parlare di cessate il fuoco, tra annunci di accordi vicini e smentite.
L’ultimo piano è quello presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti, Steve Witkoff, e prevede il rilascio da parte di Hamas della metà degli ostaggi ancora in vita e dell’altra metà di quelli morti, in cambio di un cessate il fuoco temporaneo che porti poi a negoziati successivi per la fine della guerra. Già il cessate il fuoco siglato a gennaio prevedeva un percorso simile di negoziati ulteriori, ma a inizio marzo Israele ha violato unilateralmente gli accordi e ha ripreso l’offensiva.
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