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In questo passo estremamente lucido e puntuale, accompagnato, di conseguenza, da uno scarno commento, Seneca si presenta al lettore in tutta la sua schietta umanità.
Pur all’interno della filosofia stoica, impregnata di un’esasperata
morale razionale, fa emergere tutta la sua schietta umanità:
anche il saggio, culmine della parabola esistenziale stoica,
è costituito di carne ed ossa, e, di conseguenza, soffre,
prova tormento; ha una sensibilità, benché sia
ancorata più alla sua dimensione fisica che ad un’autentica
intelligenza emotiva.
Eppure, il saggio senecano ha veramente un forte spessore
umano.
Ma ecco il passo: ” Io non metto il saggio fuori dal resto degli
uomini, né lo considero insensibile come una pietra. So bene
che anch’egli è composto di due parti: l’una è
irrazionale, e con essa sente il morso del dolore in ogni sua
forma; l’altra è razionale, intrepida e indomabile, dotata
di convinzioni che non si lasciano scuotere. È qui, nella
parte razionale, che è posto il Sommo Bene dell’uomo. Prima
che questo bene pervenga alla pienezza, l’anima è incerta e
volubile; quando, però, giunge a compimento, entra in uno
stato di inalterabile serenità .
Non si pensi che la virtù come la concepiamo noi sia campata
in aria, qualcosa al di fuori della condizione umana. No, anche il
saggio trepiderà, conoscerà la sofferenza e il
pallore sbiancherà il suo viso: ciò fa parte della
sensibilità fisica. Dov’è allora la disgrazia, dove
il vero male? Sta certamente in queste affezioni, se esse
avviliscono l’animo, se lo inducono a dichiararsi loro schiavo e a
compiangere se stesso.
Certuni, la cui filosofia è più dura che coraggiosa,
vietano il dolore al sapiente. Costoro non devono essersi mai
trovati in certe disgraziate circostanze: in tal caso, la sciagura
gli avrebbe scrollato di dosso una sapienza fatta di superbia,
costringendoli a confessare la verità, sia pure
controvoglia”.
Fabio Gabrielli
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