
Lo ha fatto sapere la Provincia di Trento che ha agggiuno che “da un primo esame esterno della carcassa dell’orsa F36 non è stato possibile avanzare ipotesi sulla causa della morte”.
Lo ha confermato uno studio che ha preso in esame le popolazioni di lupi in Wisconsin e Michigan, rilevando un calo da quando ne è stato consentito l’abbattimento.
Lo capirebbe pure un bambino, legalizzare la caccia ai grandi carnivori per “tutelarli” e ridurre il bracconaggio non ha senso. Eppure è servito uno studio, condotto da Adrian Treves dell’Università del Wisconsin e Guillaume Chapron dell’Università svedese di Scienze agrarie, per confermare che la caccia legalizzata non comporta la diminuzione del bracconaggio, anzi, peggiora ulteriormente la situazione.
Nonostante la totale assenza di prove scientifiche alcuni governi (e perfino alcune associazioni conservazionistiche) hanno ipotizzato che l’abbattimento controllato di alcuni esemplari di grandi carnivori minacciati potesse essere un mezzo affidabile per diminuire il bracconaggio. Perfino l’Unione mondiale per la conservazione della natura (Iucn), nel suo Manifesto per la conservazione dei grandi carnivori in Europa, sostiene che “legalizzata, la caccia ben regolata dei grandi carnivori a livelli sostenibili può essere uno strumento utile […] diminuendo le uccisioni illegali”.
Il nuovo studio, condotto in Wisconsin e Michigan, dimostra però il contrario. I due stati americani sono stati scelti perché lo status del lupo è cambiato frequentemente nel corso degli anni, passando da “protetto” a “cacciabile”. Quello condotto da Treves e Chapron è un vero esperimento, si tratta della “prima valutazione quantitativa dell’ipotesi che la liberalizzazione degli abbattimenti può ridurre il bracconaggio e migliorare lo stato della popolazione di un carnivoro in via di estinzione”, hanno affermato gli stessi ricercatori.
La conclusione dello studio indica che “permettere la caccia al lupo aumenta le probabilità di episodi di bracconaggio, anziché diminuirle”. Autorizzare la caccia di una specie in via di estinzione, secondo Treves e Chapron, anche se per cercare di mitigare i conflitti tra uomo e predatori e di conseguenza ridurre il bracconaggio, sembra svalutare in realtà la vita di quella specie agli occhi della gente, portando, ironia della sorte, ad un incremento del bracconaggio.
Questo è esattamente lo stesso pensiero che aveva espresso il presidente di Legambiente, Rossella Muroni, in un’intervista che ci aveva rilasciato qualche tempo fa. “Il bracconaggio è un esempio di illegalità, se fosse autorizzata la caccia al lupo verrebbe in qualche modo legalizzato questo tipo di crimine”, aveva detto a proposito del nuovo Piano d’azione nazionale sulla conservazione e gestione del lupo.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B, ha esaminato il tasso di crescita della popolazione di lupo nei due stati. È emerso che i tassi di crescita delle popolazioni di lupo sono diminuiti, passando dal 16 per cento al 12 per cento, quando è stato consentito l’abbattimento. I due scienziati, utilizzando modelli matematici per esaminare le altre variabili, hanno escluso che il calo dei lupi possa avere altre spiegazioni. La conclusione della ricerca sarebbe confermata da alcuni studi empirici realizzati nel Wisconsin nel 2013 che collegano l’aumento del bracconaggio con la liberalizzazione della caccia al lupo.
Quando un governo autorizza l’uccisione di una specie protetta non fa altro che svilirla agli occhi dei cittadini, inviando un messaggio profondamente sbagliato. Per sconfiggere il bracconaggio è dunque necessario combatterlo, non legalizzarlo.
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