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La nuova disciplina che coniuga attenzione all’ambiente e attenzione all’essere umano in evoluzione insieme all’ecosistema terrestre, affonda le sue radici anche nell’antica cultura europea di riverenza per la natura e di gioiosa celebrazione della vita.
La storia che ci raccontano a scuola non è completa, è solo la storia dei vincitori. La Storia europea, quella con la “S” maiuscola, non è passata dagli uomini primitivi con pelli ai lombi direttamente ai Greci e ai Romani. Tra il 7000 AC e il 1500 AC hanno prosperato in Europa popoli e culture con carattere pacifico, struttura sociale egalitaria e religioni caratterizzate da grande rispetto per la Madre Terra. Per citarne alcuni: Liguri, Sardi, Pelasgi, Minoici, Lelegi, Iberi, Etruschi. Alcuni tratti di queste culture sono rimasti vivi anche dopo le invasioni indeuropee, soprattutto nella cultura celtica.
I Celti hanno avuto il loro massimo splendore tra il 3° e il 4° secolo AC., presenti dalle Isole britanniche al Danubio, con insediamenti anche nelle penisole iberica, italica e anatolica. Le tribù celtiche sono state diverse centinaia – tra le più note: Britanni, Galli, Pannoni, Celtiberi, Galati – accomunate da una sapiente integrazione tra una natura guerriera, archetipicamente maschile, con una predisposizione, archetipicamente femminile, verso una relazione profonda, di rispetto, dialogo e interazione con la natura. Ne è nata una cultura predisposta alla gioia di vivere, al commercio, alla medicina, all’arte, al canto, alla sacralità della vita, in armonica combinazione con il valore della libertà individuale e il piacere dell’autoaffermazione anche nella lotta e nella battaglia, regolata da precisi codici d’onore.
La società e tradizione celtica è stata caratterizzata da un profondo rispetto per l’ambiente, con una spiritualità fortemente incentrata sullo sviluppo interiore e sul contatto individuale con i regni della natura e dello spirito. I luoghi di culto erano all’aperto, boschi sacri, le festività principali scandivano i momenti cruciali del ciclo vitale della natura e grande importanza rivestiva la divinità femminile per richiamare fertilità della terra e della donna. Ma non si trattava, spiega Riccardo Taraglio, uno dei più grande conoscitori italiani della tradizione celtica, di un semplice credo che adorava le forze della natura, bensì una instancabile spinta alla conoscenza e alla investigazione continua sulla natura dell’uomo e dell’universo, senza dogmi imposti. Quella celtica era una visione del mondo intrinsecamente sistemica – ecologica, diremmo oggi – e, allo stesso tempo, umanistica, basata quindi sulla libertà dell’individuo in interazione armonica e rispettosa con la complessità dell’ambiente.
La visione materialistica, deterministica, utilitaristica della natura è recente nella nostra storia di cultura occidentale. Quando ci riconnettiamo con le nostre antiche radici culturali e/o con le profondità del nostro inconscio ecologico, ritroviamo insita nella nostra stessa identità profonda un atteggiamento di sensibilità e compartecipazione con gli altri regni della natura. “Biofilia” la chiama il sociobiologo Edward Wilson, “predisposizione all’empatia”, la definisce l’economista Jeremy Rifkin, “Cittadinanza terrestre” è il termine coniato da Edgar Morin e “apertura alI’inconscio ecologico” si chiama in Ecopsicologia, questo riconoscimento della propria identità umana come parte integrante del più ampio ecosistema terrestre. Ecco che l’Ecopsicologia si fa portavoce della stessa visione integrata, alla base della cultura celtica, che valorizza l’individuo e la sua libera iniziativa e allo stesso tempo gli ricorda la sua interconnessione all’ambiente.
L’Ecopsicologia, nata dalla collaborazione tra Ecologia e Psicologia per venire incontro agli attuali disagi sia ambientali che esistenziali, si propone di facilitare l’espansione della consapevolezza individuale, superando condizionamenti, credenze limitanti, automatismi disfunzionali, sino a riconoscere, valorizzare ed esprimere la propria “natura individuale”; per poi procedere verso il riconoscimento dell’interdipendenza che caratterizza la vita stessa sulla Terra e quindi sull’attivazione dei propri talenti e capacità nei contesti concreti e quotidiani in cui si vive, non per senso del dovere, ma per raggiunta consapevolezza che “noi siamo… la Terra”. Ognuno di noi, in quanto singolo individuo e in quanto specie, è parte dell’ecosistema terreste e senza una connessione armonica e dialogica con l’ambiente, la nostra permanenza su questo pianeta sarà breve. Sicuramente più breve delle neglette e dimenticate culture native europee che ben sapevano regolare il loro mantenimento ed espansione rispettando i limiti degli ecosistemi in cui risiedevano. Una capacità propria di ogni cultura nativa, anche di quelle contemporanee, alle quali l’Ecopsicologia fa riferimento nell’indispensabile e urgente ricerca di modelli culturali, sociali ed economici “capaci di futuro”.
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