Il Kazakistan vieta il velo integrale per le donne musulmane

Il provvedimento appena firmato dal presidente Kassym-Jomart Tokayev proibisce di coprirsi il volto in pubblico. Ufficialmente adottato per motivi di sicurezza, potrebbe nascondere motivazioni religiose ben più profonde.

Il presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev ha firmato una legge che vieta di coprirsi il volto in pubblico. La motivazione ufficiale è limitare i reati commessi con l’uso di passamontagna.

La normativa, firmata a fine giugno, mette quindi al bando gli indumenti che “interferiscono con il riconoscimento facciale”, fatta eccezione per motivi medici, eventi sportivi e condizioni meteorologiche avverse. Nessuno sconto per le motivazioni religiose: un dettaglio che alcuni hanno interpretato come una chiara volontà di vietare alle donne musulmane l’uso del niqab e del burqa, rispettivamente il velo che copre il volto lasciando scoperti solo gli occhi, e l’indumento che copre interamente il corpo e il viso, inclusi gli occhi.

Se così fosse, il provvedimento voluto da Tokayev segnerebbe un passo indietro nella delicata questione della libertà religiosa. E confermerebbe la tendenza di limitare l’abbigliamento islamico già diffusa in altri paesi dell’Asia centrale.

Gli abiti tradizionali

donna kazaka
Negli abiti tradizionali del Kazakistan è presente l’hijab, il velo che lascia scoperto il viso © Richard Blanshard/Getty Images

“Piuttosto che indossare tuniche nere che nascondono il volto, è molto meglio indossare abiti nello stile nazionale”, ha detto il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, ribadendo la volontà di “promuovere” i costumi nazionali che “sottolineano in modo vivido la nostra identità etnica”.

Mentre l’hijab, il velo che lascia il volto scoperto, è associato alle tradizioni kazake e per questo gode di un’ampia accettazione all’interno della società, il niqab e il burqa sono invece considerati estranei alla cultura locale, per lo più associati agli insegnamenti islamici dei Paesi arabi. Ciononostante, negli ultimi anni il niqab e il burqa sono diventati più comuni per le strade kazake, segno di un cambiamento religioso più ampio.

Già due anni fa il governo kazako aveva vietato nelle scuole l’hijab, il velo islamico, sostenendo la necessità di preservare la laicità. Il provvedimento aveva acceso un forte dibattito e sollevato diverse critiche, e nella sola regione occidentale di Atyrau 150 studentesse avevano abbandonato la scuola come forma di protesta.

La diffusione dell’Islam in Kazakistan

Anche se il passato nomade e sovietico di questo Paese spinge molte persone oggi a dichiararsi non credenti, secondo i dati ufficiali l’Islam sarebbe praticato da circa il 70 per cento della popolazione.

Un numero leggermente in calo se paragonato a qualche anno fa (si è passati dal 70,2 per cento del 2009 al 69,3 per cento del 2021), ma che in termini assoluti aumenta con l’aumentare della popolazione: oggi i musulmani in Kazakistan sarebbero 13,3 milioni su una popolazione totale di 19 milioni di persone, mentre nel 2009 erano 11,2 milioni su 16 milioni di persone.

La popolazione del Kazakistan è particolarmente eterogenea: i kazaki etnici – che costituiscono poco più della metà della popolazione – insieme agli uzbeki etnici, agli uiguri e ai tatari, che rappresentano meno del dieci per cento della popolazione, sono storicamente musulmani sunniti della scuola hanafita.

Gli altri gruppi islamici, che costituiscono meno dell’un per cento della popolazione, includono i sunniti shafi’iti (tradizionalmente associati ai ceceni), gli sciiti, i sufi e gli ahmadi.

La più alta concentrazione di musulmani praticanti si trova nella regione meridionale del Kazakistan, al confine con l’Uzbekistan. E secondo l’Association of religion data archives (Arda), le 2.200 moschee registrate in Kazakistan sarebbero tutte affiliate a un’organizzazione nazionale che ha stretti legami con il governo, l’Associazione spirituale dei musulmani del Kazakistan (Samk).

diffusione religione Kazakistan
Distribuzione delle religioni principali in Kazakistan. In rosso l’Islam.

La rinascita della religione

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la difficile normalizzazione dei rapporti tra Stato e religione, nei Paesi dell’Asia centrale storicamente a maggioranza musulmana, non russo-ortodossa, è stata avviata una lotta all’estremismo e alla radicalizzazione che trovano terreno fertile laddove ci sono povertà, diseguaglianze, corruzione, accesso limitato alla giustizia e mancanza di opportunità.

Inoltre, visto il vuoto religioso che si era creato in 70 anni di governo sovietico ufficialmente ateo, la rinascita dell’Islam negli anni Novanta in Asia centrale fu seguita dalla ricerca di nuove autorità spirituali e dal timore che i talebani usassero l’Islam per ottenere il consenso della popolazione e quindi potere.

Come sostengono le Nazioni unite, negli ultimi anni più di cinquemila persone hanno lasciato l’Asia centrale per unirsi a cellule estremiste in Siria e in Iraq. L’aumento dell’estremismo violento e la sua diffusione oltre i confini nazionali sono infatti tra le sfide principali che si trovano ad affrontare i governi dei paesi centroasiatici.

In alcuni casi, però, la lotta al terrorismo e all’estremismo diventa la scusa per reprimere gli oppositori del governo e gli attivisti.

Le preoccupazioni delle ong

Il Kazakistan si unisce quindi a quei Paesi che devono affrontare la sfida di bilanciare libertà religiosa, sicurezza pubblica e principi di laicità.

La scelta del presidente Kassym-Jomart Tokayev di vietare il burqa e il niqab, infatti, fa parte di una tendenza più ampia che coinvolge diversi Stati dell’Asia centrale. Nel gennaio scorso il presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov ha firmato una legge che vieta l’abbigliamento che copre il volto; nel 2023, l’Uzbekistan ha introdotto delle multe per chi indossa abiti simili, e nel 2024, il Tagikistan ha vietato gli indumenti considerati “estranei alla cultura tradizionale”.

Leggi simili esistono anche in alcuni paesi d’Europa, come Francia, Paesi Bassi, Danimarca e Austria, dove per motivi di sicurezza è fatto divieto di coprire il volto in pubblico.

Secondo Amnesty International, “il divieto del velo integrale non può in alcun modo essere visto come una misura per la liberazione delle donne”. Anzi, si tratta di un provvedimento “discriminatorio”.

Comporta il rischio di stigmatizzare le donne appartenenti a un gruppo già emarginato, rafforzando gli stereotipi e aumentando l’intolleranza. Se vogliamo veramente rispettare i diritti delle donne, dovremmo lasciare che siano le donne a decidere cosa vogliono indossare.

Amnesty International

Il sociologo Serik Bejsembaev sostiene che le decisioni prese dal Kazakistan nascano dalla volontà di “evitare l’influenza di correnti islamiche non tradizionali”. E la risposta a questa “minaccia immaginaria” la si cerca nella burocrazia. “Come persona che studia da tempo la questione dell’estremismo, posso dire che tra Islam, estremismo e sicurezza nazionale non c’è una connessione diretta. Sono cose diverse – dice Bejsembaev -. Quando lo Stato propone tali associazioni, ovvero Islam uguale minaccia, una parte significativa della popolazione finisce immediatamente stigmatizzata. Il divieto di indossare abiti religiosi viene percepito come un segnale che in questo Paese non sono i benvenuti, che il loro stile di vita è sotto attacco. Di conseguenza, queste persone possono subire discriminazioni e in futuro non si esclude la loro radicalizzazione”.

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