
L’Italia arranca rispetto al resto d’Europa sulle strade scolastiche, che possono contribuire a sviluppare una mobilità sostenibile e a zero emissioni. Vediamo come.
L’Italia investe nell’auto quasi cento volte più che nella bici. È quanto emerge dal dossier realizzato da Clean Cities, Fiab, Legambiente e Kyoto Club con l’obiettivo di chiedere maggiori investimenti per la ciclabilità.
Clean Cities, Fiab, Legambiente e Kyoto Club uniscono le forze per lanciare un appello al governo italiano con l’obiettivo di ottenere maggiori investimenti per la ciclabilità e dare un segnale forte per cambiare rotta, mettendo la parola fine all’epoca delle città auto-centriche. Secondo quanto emerso dal dossier redatto dalle quattro organizzazioni dal titolo “L’Italia non è un paese per bici”, il nostro paese investe nell’auto quasi cento volte più che nella bici. I numeri parlano chiaro: 98 miliardi di euro vengono destinati al settore automotive e alle infrastrutture stradali, contro poco più di 1 miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Questo senza contare riduzione delle accise e altri sussidi. Il risultato è che il nostro paese sul piano della ciclabilità risulta decisamente arretrato all’interno del panorama europeo e impreparato a rispondere in maniera efficace alla crisi climatica ed energetica.
Nel dossier “Non è un paese per bici” si legge che le città italiane, secondo i dati Istat, hanno una media di 2,8 chilometri di ciclabili per diecimila abitanti. Ciò che colpisce è la grande disparità territoriale. Infatti, sebbene ci siano stati dei miglioramenti importanti negli ultimi anni, nel centro-sud ci sono capoluoghi senza un chilometro di infrastruttura ciclabile. Al contrario invece in città come Modena, Ferrara, Reggio Emilia si raggiungono i 12-15 chilometri per cui si sta al passo di Amsterdam (14 chilometri di ciclabili ogni 10mila abitanti) o Copenaghen (8 chilometri ogni 10mila abitanti). Mentre svetta Helsinki con i suoi 20 chilometri di infrastrutture ciclabili ogni 10mila abitanti.
L’Italia si è impegnata con l’Unione europea per ridurre le proprie emissioni climalteranti del 55 per cento entro il 2030. Per raggiungere questi obiettivi è necessario fare investimenti che portino a decarbonizzare rapidamente il settore dei trasporti, da cui deriva quasi un terzo delle nostre emissioni di CO2. Il dossier evidenzia quindi l’importanza di ridare spazio e priorità a pedoni, ciclisti e altri utenti della micromobilità e mobilità attiva, per rendere le strade sicure, per affrontare la crisi climatica e per ridurre l’inquinamento dell’aria. Non dimentichiamo infatti che siamo il paese europeo con la maggiore densità di autoveicoli per 100 abitanti (67 nel 2020).
Il dossier oltre ad analizzare lo stato dell’arte della ciclabilità, offre spunti e soluzioni per colmare il gap fra Italia ed Europa. In particolare si evidenzia che alle città italiane servono 16mila chilometri di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21mila chilometri al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno, ovvero appena il 3,5 per cento di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, ma molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità.
Per questo le organizzazioni hanno lanciato la petizione “Vogliamo città ciclabili” rivolta al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e al nuovo Parlamento, con la richiesta di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di 500 milioni di euro l’anno fino al 2030.
In particolare si chiede:
Con il sostegno di tutta la cittadinanza si vuole ottenere sostanzialmente un cambio di passo per rendere le città a misura di persona. Infatti facilitare l’utilizzo diffuso e capillare della bicicletta non è solo una priorità dal punto di vista ambientale e climatico, ma anche una questione di salute, giustizia e inclusione sociale.
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