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Liu Bolin, l’artista che si nasconde nelle sue fotografie come strumento di denuncia, in mostra a Milano
Al Mudec di Milano lo stupefacente mix di immagine e performance del cinese Liu Bolin dà vita alla fotografia mimetica, una forma d’arte capace di emozionare e far riflettere.
Qualcosa di totalmente nuovo che unisce, meravigliando, la fotografia e la performance: sono le opere di Liu Bolin artista cinese, esponente della fotografia mimetica che al Mudec di Milano presenta “Visible invisible“. Un modo suggestivo per prestare attenzione alle immagini, al mondo, per guardarlo con più attenzione. E riflettere. Dal 15 maggio al 15 settembre 2019.
In Visible invisible Liu Bolin si mimetizza dentro opere e luoghi
Si tratta di un lavoro accurato, che prevede una preparazione meticolosa di cui lo scatto finale è solo l’ultima parte. Lo studio del progetto, l’installazione nella location, la pittura del corpo, la performance vera e propria dell’artista: un processo di realizzazione che dura anche giorni, a dimostrazione di come un’immagine fotografica artistica non sia mai frutto di un caso, ma la sintesi di un iter creativo spesso complesso, che rivela la coscienza di Liu Bolin e la sua intima conoscenza della realtà in tutta la sua complessità. L’artista cinese in questo è un maestro, non solo per la precisione con cui realizza le sue performance e dunque i conseguenti scatti, ma anche per le tematiche affrontate grazie a questa tecnica. L’effetto finale suscita meraviglia e stupore, difficile non rimanerne incantati.
I visitatori davanti ad alcune immagini infatti faticheranno a distinguere dove finisce l’artista e dove comincia il setting dell’opera, perché Liu Bolin sa divenire con la stessa perfezione parte di un posto a sedere del Teatro alla Scala, un tratto del Colosseo o della Pietà Rondanini. E per comprendere sino in fondo quali siano i passaggi che conducono l’artista a questa inedita forma espressiva, in mostra al Mudec di Milano saranno presenti anche gli abiti dipinti usati per la realizzazione degli scatti e video documentali. Le performance mimetiche di Liu Bolin prevedono infatti un accurato body painting, in cui il corpo dell’artista risulta pienamente integrato con lo sfondo e l’insieme diviene così il mezzo per esplicitare la sua poetica: quella del nascondersi per diventare cosa tra le cose, per denunciare che tutti i luoghi, tutti gli oggetti, anche i più piccoli, hanno un’anima che li caratterizza e in cui mimetizzarsi, svanire, identificarsi nel tutto. Una filosofia che arriva da lontano, figlia dell’Oriente, ma che ha conquistato il mondo intero, soprattutto quello occidentale.
Le opere in mostra al Mudec tra arte e denuncia
Sono circa 50 le fotografie in mostra a Milano, appartenenti a vari progetti e quindi a tematiche diverse: in Hiding in the city Bolin si ribellava contro l’autorità che nel 2005 stava demolendo il suo studio nel Suojia arts camp – il villaggio degli artisti indipendenti dove risiedeva – per far spazio al progresso e al nuovo che avanza, distruggendo però tutto il mondo alle spalle dell’artista, e quindi anche la tradizione e l’identità di un popolo. In questa occasione quindi si mimetizza per la prima volta, volendo dimostrare la sua appartenenza a quel luogo. Prosegue poi la sua ricerca e con Hiding in the rest of the world, e soprattutto con Hiding in Italy (2008-2019) l’artista, all’importanza del luogo, aggiunge l’attenzione al confronto tra la visione della cultura orientale e quella occidentale, dove Cina e Italia rappresentano per Bolin le due culle della cultura rispettivamente asiatica ed europea e il particolare amore e rispetto per il Bel Paese e l’attenzione che in generale l’Occidente presta alla conservazione della cultura.
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Nel ciclo Shelves “scaffali” invece le opere di mimetismo si scagliano artisticamente contro il consumismo: di fronte a lunghe distese di scaffali di supermercati, colmi di beni di largo consumo, luoghi banali e tipici della nostra quotidianità, Liu Bolin scompare tra scatolame e verdure, evocando un’immagine forte, ossessiva e totalizzante, come lo è il nostro bisogno consumistico in cui prodotto e consumatore finiscono per identificarsi e annullarsi. Le immagini più celebri e quelle, a nostro parere, più significative sono però quelle realizzate nel ciclo Migrants dove Liu Bolin non ha, come di consueto, performato da solo, ma ha coinvolto altri “attori”, ovvero dei rifugiati ospiti di alcuni centri d’accoglienza in Sicilia. In questo caso, l’identificazione con lo sfondo lascia il posto alla spersonalizzazione dell’io e di un popolo, che non ha più volto se non quello della disperazione umana e della denuncia sociale. Immagini molto forti, non lontane dalla realtà che mostrano chiaramente anche la profonda empatia e umanità dell’autore.
Visible invisible è al Mudec di Milano – nella nuova area dedicata alla fotografia, in uno stabile di fronte all’entrata principale del museo – dal 15 maggio al 15 settembre con i seguenti orari lunedì dalle 14:30 alle 19:30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 9:30 alle 19:30; giovedì e sabato dalle 9:30 alle 22:30. Il biglietto costa 10 euro.
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