Cosa ci lascia Papa Francesco

Cosa ci lascia Papa Francesco

Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, è morto nella mattina del 21 aprile. Aveva 88 anni ed era Pontefice dal 13 marzo 2013.

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È stato il primo Papa venuto dal continente americano, il primo gesuita, il primo a scegliere il nome ispirandosi a San Francesco, il primo a dedicare un’enciclica ai temi ambientali. Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, è morto alle 7:35 del 21 aprile 2025. Aveva 88 anni ed era Pontefice dal 13 marzo 2013.

L’elezione di papa Francesco al conclave del 2013

Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’accoglienza”.

Queste le parole con cui Jorge Mario Bergoglio si affaccia dalla loggia durante il suo primo discorso pubblico come Papa, nella serata del 13 marzo 2013. Bergoglio è già stato uno dei candidati più in vista nel precedente conclave del 2005, concluso con l’elezione di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI. Quando quest’ultimo decide di dimettersi, evento storicamente molto raro, il conclave iniziato il 12 marzo nomina Bergoglio come suo successore, al quinto scrutinio.

Per il suo pontificato sceglie il nome di Francesco in onore di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia e “l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”, come spiega lui stesso durante un incontro con i giornalisti. “Francesco d’Assisi è, per me, l’uomo della povertà, l’uomo della pace. L’uomo che ama e custodisce il Creato. L’uomo povero… come vorrei una chiesa povera e per i poveri”.

Il suo pontificato si chiude quindi dopo dodici anni, dopo mesi in cui il Papa versava in difficili condizioni di salute che l’avevano costretto a ridimensionare i propri impegni pubblici. In più occasioni si era mostrato visibilmente affaticato e aveva problemi nella deambulazione, tanto da doversi muovere su una sedia a rotelle. Era stato ricoverato e poi dimesso il 14 febbraio 2025 al Policlinico Gemelli di Roma a causa di una bronchite complicatasi in polmonite bilaterale: una condizione particolarmente insidiosa considerato che in giovane età aveva subito l’asportazione di una parte del polmone. La sua morte avviene non solo nel giorno del Lunedì dell’Angelo, ma proprio durante il Giubileo ordinario, l’anno santo della Chiesa cattolica che ricorre ogni 25 anni, portando milioni di pellegrini nella città di Roma.

Jorge Mario Bergoglio prima di diventare papa Francesco

Figlio di emigrati italiani, Jorge Mario Bergoglio nasce il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, capitale dell’Argentina. Dopo il diploma come perito chimico e alcuni impieghi modesti, entra in seminario e nel 1958 comincia il suo noviziato nella Compagnia di Gesù, vale a dire l’ordine dei gesuiti. Negli anni Settanta si laurea prima in filosofia e poi in teologia, insegnando anche per alcuni anni, e il 13 dicembre 1969 viene ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Córdoba Ramón José Castellano.

Negli anni successivi si dedica all’insegnamento, diventa padre superiore provinciale dell’Argentina (dal 1973 al 1979) e rettore della facoltà di Teologia e filosofia a San Miguel. Riprende la carriera accademica, in parallelo a quella di parroco. Dopo un periodo di studio in Germania nel 1986, torna in patria dove diventa direttore spirituale e confessore della chiesa della Compagnia di Gesù di Córdoba.

Scelto come stretto collaboratore dal cardinale Antonio Quarracino, viene nominato vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires da Papa Giovanni Paolo II. Sempre dalle mani del cardinale riceve poi l’ordinazione episcopale il 27 giugno. Viene promosso come arcivescovo coadiutore di Buenos Aires a giugno 1997 e nove mesi dopo, alla morte del cardinale Quarracino, gli succede come primate d’Argentina. Nel 2001 Giovanni Paolo II lo nomina cardinale. Dopo un rifiuto iniziale, viene eletto presidente della Conferenza episcopale argentina, ruolo che mantiene per due mandati, dal 2002 al 2008.

Come arcivescovo di Buenos Aires diventa molto popolare per il suo progetto missionario che punta sulla comunione, sull’evangelizzazione, sulla collaborazione tra prelati e laici e sull’assistenza a poveri e malati. Il suo stesso stile di vita è molto semplice, quasi frugale visto che vive in un appartamento modesto e si sposta con i mezzi pubblici. 

Laudato si’, l’enciclica ambientalista

“Laudato si’, mi’ Signore”, cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia.

Lettera enciclica Laudato si’

Inizia così l’enciclica Laudato si’ (24 maggio 2015), la seconda pubblicata da papa Francesco nel corso del suo pontificato, dopo Lumen fidei (29 giugno 2013) e prima di Fratelli tutti (3 ottobre 2020). Un testo accolto da un clima di fremente attesa, tanto da essere anticipato dalla stampa prima ancora della pubblicazione ufficiale. Perché è la prima enciclica ambientalista, in cui il Pontefice cita il consenso scientifico sul riscaldamento globale di origine antropica e le sue conseguenze sul ciclo dell’acqua, sull’innalzamento del livello dei mari, sugli eventi meteo estremi e non solo.

“I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo”.

Lettera enciclica Laudato si’

L’approccio dell’ecologia integrale

Oltre a descrivere il problema, papa Francesco propone un approccio per affrontarlo: “una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali”.

“Quando parliamo di “ambiente” facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. […] Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura”.

Lettera enciclica Laudato si’

L’enciclica Laudato si’ critica apertamente il nostro modello di sviluppo in cui “la crescita economica tende a produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e ridurre i costi” e “la visione consumistica dell’essere umano, favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità”. L’ecologia integrale, al contrario, mette al centro il bene comune in cui l’essere umano merita rispetto in quanto tale e ogni scelta va ponderata in base alle conseguenze sulle future generazioni.

Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato. […] Quando ci interroghiamo circa il mondo che vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo senso, ai suoi valori. […] Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra.

Lettera enciclica Laudato si’

In cammino per la cura della casa comune

A giugno 2020, cinque anni dopo l’enciclica Laudato si’, il tavolo inter-dicasteriale della Santa Sede sull’ecologia integrale è tornato ad aggiornare e approfondire il concetto con il documento In cammino per la cura della casa comune, che entra nel merito di buone prassi e piani d’azione. Fra i temi affrontati ci sono ad esempio il ruolo della scuola e della famiglia nell’educare le nuove generazioni alla sostenibilità e alla sussidiarietà, lo spreco alimentare e il diritto umano ad accedere all’acqua sicura (compromesso dal water grabbing), il ruolo centrale delle città. Il capitolo conclusivospiega la traiettoria seguita da Città del Vaticano per adempiere agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

L’esortazione apostolica Laudate deum

A ottobre 2023 Papa Francesco è tornato a parlare di crisi climatica, e l’ha fatto con un’esortazione apostolica – intitolata Laudate deum– dal linguaggio talmente diretto da suonare quasi irrituale. Dopo aver messo a tacere qualsiasi negazionismo sulla responsabilità dell’uomo per i cambiamenti climatici, il Pontefice punta il dito contro le grandi potenze economiche, che “si preoccupano di ottenere il massimo profitto al minor costo e nel minor tempo possibile”, e contro “una bassa percentuale più ricca della popolazione mondiale (che) inquina di più rispetto al 50 per cento di quella più povera”.

papa francesco crisi climatica
Una citazione di Papa Francesco alla manifestazione per il clima del 2017 a Washington DC © Dcpeopleandeventsof2017/Wikimedia Commons

Dichiarandosi vicino agli attivisti per il clima, chiede uno sforzo tanto individuale – con la diffusione di abitudini virtuose nella popolazione – quanto collettivo, con decisioni coraggiose da parte delle istituzioni nazionali e sovranazionali. In conclusione, riflette sulle aspettative legate alla Cop28 di Dubai (che sarebbe iniziata da lì a poche settimane) mettendo in guardia dalla tentazione di affidarsi unicamente a soluzioni tecnologiche e premendo, piuttosto, per “delle forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili”.

La posizione della Chiesa su temi sociali e diritti umani

Una figura come quella del Pontefice ha un’influenza che va ben oltre il perimetro della comunità cattolica. Soprattutto quando si esprime su temi sociali, politici e culturali di primo piano. Una responsabilità alla quale papa Francesco non si è sottratto. Sia attraverso documenti ufficiali, sia attraverso conversazioni a tutto tondo con i giornalisti.

L’apertura (parziale) ai diritti Lgbtqia+

Tra i temi su cui l’opinione pubblica sta cambiando rapidamente orientamento, si possono citare senza dubbio i diritti delle persone Lgbtqia+. Stando ai sondaggi sottoposti dal Pew research center a persone che si dichiarano cattoliche, sei su dieci negli Stati Uniti si dichiarano a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso. La percentuale di sì arriva addirittura al 92 per cento nei Paesi Bassi, al 78 per cento nel Regno Unito, al 74 per cento in Francia e al 70 per cento in Germania. Sempre facendo riferimento alla popolazione cattolica, l’opinione pubblica è di segno opposto nell’est Europa. In Ucraina e Bosnia il 90 per cento degli intervistati si dice contrario, mentre in Lettonia, Bielorussia e Lituania si supera l’80 per cento.

Di fronte a questo quadro frastagliato e in continua evoluzione, la posizione di papa Francesco – il più alto rappresentante della chiesa cattolica – è ambivalente. Tra inedite aperture e paletti che restano ben saldi.

Una delle sue frasi rimaste più celebri risale ai primi mesi del suo pontificato, per la precisione a luglio 2013. Rispondendo a una domanda dei giornalisti sui sacerdoti gay, risponde: “Se una persona è gay e accetta Dio e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?”. Salvo poi sottolineare, in un libro-intervista del 2018, che “nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti. Per questa ragione, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. […] I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali vanno spinti a vivere integralmente il celibato e, soprattutto, a essere perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo”. Ha fatto molto discutere nella primavera del 2024 una frase pronunciata durante un incontro a porte chiuse con i vescovi: “Nei seminari c’è già troppa frociaggine”. Un’espressione evidentemente offensiva che molti hanno giustificato con una scarsa padronanza della lingua italiana, ma che Bergoglio ha comunque ripetuto pochi giorni dopo in un contesto analogo.

Poi c’è l’ampio capitolo della posizione della chiesa sulle coppie gay al di fuori dell’ambiente ecclesiastico. Un capitolo che ha trovato un nuovo caposaldo nella dichiarazione Fiducia supplicans con cui, nel 2023, la chiesa apre alla benedizione delle coppie di fatto e dello stesso sesso. Una benedizione che, tuttavia, non equivale a “convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della chiesa sul matrimonio”. Papa Francesco ha ribadito più volte che quest’ultimo è soltanto tra uomo e donna. Esortando a difendere l’umanità dalla cosiddetta ideologia gender, “questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale”.

“La Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli […]. La Chiesa evita qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è”.

Risponde a cinque Dubia dei Cardinali Burke e Brandmüller, settembre 2023

Gli appelli per la pace

La pace è uno dei temi ricorrenti per la Chiesa cattolica in generale e il pontificato di Bergoglio in particolare. Numerosi gli appelli a trovare una soluzione alla guerra in Ucraina. Già alla vigilia dell’invasione da parte della Russia del 24 febbraio 2022 il Pontefice aveva chiesto a “quanti hanno responsabilità politiche” di fare “un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è Dio della pace e non della guerra”. Sempre nelle prime settimane del conflitto, ha inviato in missione umanitaria i cardinali Konrad Krajewski e Michael Czerny.   

Il Pontefice ha mantenuto aperti i canali diplomatici con Kiev, contattando telefonicamente più volte e incontrando anche in Vaticano il presidente Volodymyr Zelensky, e con Mosca, confrontandosi con il patriarca russo Kirill e incontrando l’ambasciatore russo presso la Santa Sede, Ivan Soltanovsky. Ma le relazioni non sono state prive di tensioni.

Nel marzo del 2024, dopo due anni di guerra, si è discusso molto di un’intervista alla Radiotelevisione svizzera durante la quale il Pontefice ha fatto appello all’Ucraina affinché avesse “il coraggio della bandiera bianca”. “Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore. Il negoziato non è mai una resa. È il coraggio per non portare il Paese al suicidio”, ha dichiarato. Gelida la reazione da parte dell’Ucraina, la cui ambasciata presso la Santa Sede ha paragonato quest’ipotesi a quella di “parlare seriamente dei negoziati di pace con Hitler e di bandiera bianca per soddisfarlo” nel corso della Seconda guerra mondiale. Anche l’allora presidente degli Stati Uniti Joe Biden e l’allora cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno preso le distanze dalle affermazioni del Papa.

Il segretario di stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ci ha tenuto a precisare che l’intenzione non era quella di spingere l’Ucraina ad arrendersi, accettando le condizioni imposte dalla Russia. “L’appello del Pontefice è che si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo a una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione”, ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera.

L’eredità di papa Francesco

Per quanto riguarda le possibili riforme dell’organizzazione della Chiesa cattolica, c’era grande attesa per il Sinodo sulla Sinodalità: è un processo avviato da papa Francesco nel 2021 con l’ambizione di rendere la Chiesa più partecipativa, inclusiva e aperta al dialogo. Si tratta di un unicum nella storia ecclesiastica recente perché, oltre a vescovi e cardinali, coinvolge anche laici, religiosi, donne e rappresentanti di diverse comunità. Il percorso si è snodato su tre fasi, per concludersi nel mese di ottobre del 2024 lasciando uno strascico di delusione pressoché unanime. Nonostante i progressisti si aspettassero qualche passo avanti, infatti, temi come il diaconato femminile e l’inclusione delle persone Lgbtqia+ sono stati rimandati a gruppi di studio successivi, più ristretti. Al tempo stesso, i conservatori lamentano l’uso di alcune argomentazioni “woke” soprattutto nella cerimonia di apertura. In sostanza, quello che doveva essere un percorso di riforma si conclude tornando agli stessi principi di inizio pontificato.

Uno sguardo meno eurocentrico

Lo sguardo di Bergoglio, un papa che è nato e vissuto “quasi alla fine del mondo”, è necessariamente meno eurocentrico rispetto a quello dei suoi predecessori. Meno eurocentrico è diventato anche il collegio cardinalizio. Al conclave del 2013, sui 115 cardinali elettori (cioè quelli che non avevano ancora compiuto gli ottant’anni), gli europei erano più della metà. Per la precisione, il 52 per cento. Nel 2025 la percentuale era scesa al 39 per cento per cento su 138. Questo anche perché, sui 110 cardinali elettori nominati da Francesco nel corso del suo pontificato, gli europei sono la minoranza: appena 41. Una varietà geografica tutt’altro che casuale, come precisa lo stesso Pontefice: “La loro provenienza esprime l’universalità della Chiesa che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della terra”.

Se c’è un continente in cui il Pontefice argentino ha mostrato di muoversi con qualche difficoltà, è l’Africa. In particolar modo l’Africa subsahariana che, in dieci anni, è stata meta di soli tre viaggi apostolici: rispettivamente in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana nel 2015, Mozambico, Madagascar e Mauritius nel 2019, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan nel 2023. Eppure, è la più grande e promettente area di crescita per la cristianità. Nel 2060, ben il 42 per cento delle persone di fede cristiana vivrà nell’Africa subsahariana e appena il 14 per cento in Europa; nel 2015 erano quasi in parità, rispettivamente con il 26 e il 24 per cento. Senza la sostenuta crescita demografica della comunità cristiana africana, il sorpasso dell’islam sul cristianesimo sarebbe dietro l’angolo; ad oggi, invece, per il 2060 ci si aspetta che le due religioni risultino pressoché in parità in termini di numero di fedeli.

Durante il pontificato di Bergoglio, l’Africa subsahariana è stata teatro di scontri anche molto sanguinosi. Con decine di vittime, anche tra missionari e prelati. Per esempio in Mozambico, dove i cosiddetti machababos, di matrice islamista, hanno seminato più volte il terrore tra Cabo Delgado e Nampula; oppure in Nigeria, con gli attacchi di Boko Haram. Papa Francesco, sottolinea l’Economist, ha sempre cercato di rimarcare come la povertà, la disuguaglianza e la competizione per le risorse siano le micce che innescano il fondamentalismo. Tenendosi distante, dunque, dallo scontro religioso. La situazione, comunque, resta tutt’altro che risolta. E la Chiesa nell’Africa subsahariana appare ingovernabile, divisa in correnti, segnata dall’eredità coloniale da un lato e dalla voglia di affrancarsi dall’Europa dall’altro. Per il prossimo Pontefice sarà impossibile ignorarlo.