Un rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale spiega che in Asia nel 2023 sono state registrate 79 catastrofi legate ad eventi estremi.
Clima. Nell’ultimo mezzo secolo ci sono stati più di 2 milioni di morti per gli eventi estremi
Dopo 11.788 eventi estremi in 51 anni e un bilancio umano ed economico gigantesco, l’Onu preme per l’adozione di sistemi di allerta preventiva.
- Gli eventi estremi attribuibili a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche sono stati 11.778 nell’ultimo mezzo secolo.
- Messi insieme, hanno causato più di 2 milioni di morti e perdite economiche che sfiorano i 4mila miliardi di euro.
- A fornire questi dati è l’Organizzazione meteorologica mondiale.
- Le Nazioni Unite premono per l’adozione universale di sistemi di allerta preventiva.
Tra il 1970 e il 2021 ci sono stati 11.778 eventi estremi attribuibili a condizioni meteorologiche, climatiche e idriche. Messi insieme, hanno causato 2 milioni e 87.229 morti e perdite economiche pari a 3.980 miliardi di euro. È quanto emerge da una nuova analisi dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm).
Quali sono le zone del mondo più colpite da eventi estremi
L’Organizzazione meteorologica mondiale, oltre a fornire i dati cumulativi degli ultimi 51 anni, ha ricostruito il bilancio degli eventi estremi nelle singole aree geografiche. Da qui si scopre che il 71 per cento di questi disastri è avvenuto nei paesi in via di sviluppo, ma essi proporzionalmente hanno subito un impatto molto più grave in termini di vite umane, con il 91 per cento dei decessi.
In Africa gli eventi estremi sono stati 1.839, per quasi 40 miliardi di euro di perdite economiche. Due, da soli, sono responsabili di tre quarti dei 733mila decessi: si tratta delle ondate di siccità verificatesi in Etiopia nel 1973 e nel 1983 e in Sudan sempre nel 1983.
Ma il bilancio più grave è in Asia: 3.612 disastri climatici in 51 anni, con oltre 984mila morti e 1.300 miliardi di euro di perdite economiche. Per avere un termine di paragone, il comune di Napoli conta poco più di 900mila abitanti. Gli stati più martoriati sono Bangladesh, India, Myanmar e Cina.
In questa mappa c’è anche l’Europa. Nel nostro continente, gli eventi estremi più frequenti sono le alluvioni ma il singolo episodio che ha causato più decessi è la torrida estate del 2003.
Le perdite economiche pesano di più sui paesi più poveri
Sebbene la maggior parte degli eventi estremi abbia colpito i paesi in via di sviluppo, il 60 per cento delle perdite economiche stimate riguarda i paesi industrializzati. Questo dato, se letto da solo, rischia però di risultare fuorviante.
Nei paesi industrializzati, infatti, solo il 51 per cento dei disastri riportati ha provocato perdite economiche; e queste ultime, nell’84 per cento dei casi, non raggiungono lo 0,1 per cento del pil. Al contrario, nelle cosiddette least developed countries (cioè nelle 45 nazioni più vulnerabili in assoluto), l’impatto economico è proporzionalmente molto più grande. Talvolta, devastante. Laddove è stato registrato, nel 7 per cento dei casi supera il 5 per cento del pil. Ma si arriva anche a sfiorare il 30 per cento.
Vale lo stesso discorso per i piccoli stati insulari in via di sviluppo, come Vanuatu, Tuvalu, Barbados, Haiti, Cuba. Le perdite economiche registrate, nel 20 per cento dei casi, superano il 5 per cento del pil del paese colpito. Nei casi più gravi si arriva al 100 per cento. Ciò significa che un ciclone, o un altro evento estremo, spazza via l’intero valore dei beni e servizi generati in un anno intero.
I sistemi di allerta preventiva possono salvare vite
Questo bilancio potrebbe essere molto meno drammatico se fossero più diffusi i sistemi di allerta preventiva. In questa definizione rientrano tutte quelle strutture che monitorano l’avvicinarsi di eventi estremi (tsunami, uragani, ondate di caldo, incendi e così via) e avvisano la popolazione per tempo, permettendole di mettersi in salvo. L’esperienza dimostra che sono efficaci e che i loro costi vengono ben presto ammortizzati, anzi: il ritorno è pari a dieci volte l’investimento iniziale.
Le Nazioni Unite guidate da António Guterres si sono poste un obiettivo molto chiaro: entro la fine del 2027,ogni singola persona sulla Terra deve essere tutelata da questi sistemi di allerta preventiva. Al momento siamo ancora molto lontani da questo traguardo, perché appena la metà degli stati li ha adottati. Percentuali che diventano ancora più basse nei piccoli stati insulari in via di sviluppo, nelle economie meno sviluppate e, in generale, nel continente africano. Cioè proprio dove ce n’è più bisogno.
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