Nella natura toscana per ritrovarsi

Nella natura toscana per ritrovarsi

Un viaggio consapevole fra le aree protette, i cammini spirituali, gli itinerari cicloturistici e le specialità enogastronomiche della Toscana.

Tempo di lettura: 21 min.

Viaggiare in modo sostenibile significa concentrarsi sul cammino che si sta facendo, attivando cuore, spirito, corpo, sensi e mente, in maniera organica. La Toscana è una vera e propria “palestra” per allenare viaggiatori consapevoli, perché sul suo suolo si compie un’esperienza completa tra natura, cultura, sapori e sport. Ecco in che modo: dagli Appennini delle Foreste Casentinesi alle colline della Val d’Orcia, fino alle coste della tenuta di San Rossore.

Viaggiare con il cuore

Viaggiare con il cuore significa amare, proteggere, rispettare e avere cura. La stessa cura che si può sperimentare nelle aree protette, dove muoversi consapevoli del valore della biodiversità, un bene che ci unisce tutti. Il sistema toscano annovera tre parchi nazionali, tre parchi regionali e oltre 130 tra riserve, oasi e parchi minori.

foreste casentinesi
Le faggete secolari del Parco nazionale Foreste Casentinesi monte Falterona e Campigna sono dichiarate patrimonio Unesco © G. Giacomini / Ente parco Foreste Casentinesi

Le faggete secolari, patrimonio Unesco

Fra queste aree protette c’è persino un patrimonio Unesco: le faggete secolari del Parco nazionale Foreste Casentinesi monte Falterona e Campigna, iscritte nell’ambito del sito transnazionale Faggete primarie e vetuste dei Carpazi e di altre regioni d’Europa. Siamo in un parco dalla superficie totale di 36mila ettari, a cavallo degli Appennini toscani e romagnoli. Il versante toscano è caratterizzato da dolci pendii che scendono fino all’Arno, rivestiti di faggete e abetine che devono la loro rigogliosa bellezza anche alla cura di monaci e frati.

Proprio fra le millenarie foreste di abete bianco che circondano l’eremo di Camaldoli, incontriamo Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e da pochi mesi alla guida di Federparchi, la federazione delle aree naturali protette italiane. “Nelle Foreste Casentinesi abbiamo la più grande biodiversità forestale europea”, racconta Santini. “Siamo in un vero e proprio polmone verde nel cuore dell’Italia che vanta dimensioni da primato. E non a caso uso il termine foresta invece che bosco. Come diceva Fabio Clauser, l’ideatore della prima riserva integrale italiana, infatti, un bosco diventa foresta quando gli alberi vengono lasciati liberi di svilupparsi nelle loro naturali, grandi dimensioni, per un certo numero di ettari”. L’altezza media degli alberi? Qui è ben due volte e mezza quella dei boschi italiani che, mediamente, raggiungono i 14 metri.

Luca Santini
Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna e di Federparchi © Lorenzo Biasia / LifeGate

Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e di Federparchi

Un patrimonio di tutti che, appunto, richiede una cura ancora maggiore per preservare la sua secolare costituzione. È ciò che è avvenuto con l’istituzione della Riserva naturale integrale di Sasso Fratino (nel versante romagnolo) e in seguito di quella della Pietra (nel versante toscano). Ma cosa vuol dire riserva integrale? “Significa che l’uomo non può accedervi, se non per motivi di studio o di sorveglianza”, spiega Santini. “È stata istituita nel 1959 perché l’allora amministratore delle foreste demaniali, Fabio Clauser, fu incaricato dal ministero di fare un piano di taglio. Ma quando entrò a Sasso Fratino si rese conto che era di fronte a un lembo di foresta secolare e non se la sentì”. Solo la perseveranza nel difendere un tesoro così antico portò al primo nucleo di cento ettari di riserva integrale, saliti oggi a settecentocinquanta. Nel 2021 il parco nazionale è stato inserito dall’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) fra le 69 aree protette al mondo che rispondono a criteri di eccellenza sia in termini di valore forestale sia di governance.

Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e di Federparchi

“L’uomo nella sua visione antropocentrica pecca molto di superbia. La biomassa vivente sulla Terra è rappresentata per oltre il 90 per cento dai vegetali, 7-8 per cento dai funghi e soltanto lo 0,3 per cento dalla vita animale. La nostra specie fa parte di questo 0,3 per cento, ma pensiamo di essere gli esseri migliori anche dal punto di vista dell’evoluzione delle specie. […] Pensiamo di essere i migliori nel risolvere i problemi; in realtà, come tutti gli altri animali, davanti alle difficoltà ci spostiamo o scappiamo. […] Se pensiamo che un albero dove nasce muore, e contando che ha una vita sei volte quella dell’uomo, deve risolvere molti più problemi: siccità, eventi atmosferici, parassiti e predatori. Gli alberi mettono in campo una serie di strategie per potersi difendere. È l’intelligenza del mondo vegetale.”

Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e di Federparchi

La biodiversità delle Foreste Casentinesi si esprime sia nel micromondo del coleottero Rosalia Alpina, che nel macromondo dei grandi predatori. L’abbondante presenza di ungulati come cervi, daini, caprioli, cinghiali e mufloni, infatti, garantisce la presenza del lupo in 13 branchi riproduttivi nell’intero territorio del parco. Una minaccia per gli otto allevatori ovini e caprini presenti nell’area protetta? “Dal 2015 a oggi, con la semplice accortezza dei cani da guardiania e del ricovero notturno delle greggi, non abbiamo avuto neanche una predazione” conclude Santini. Insomma, siamo di fronte a un modello di convivenza tra uomo e natura che meriterebbe di essere esportato.

Luca Santini, presidente del parco nazionale delle Foreste Casentinesi e di Federparchi

La riserva della Biosfera Selve costiere di Toscana

Spostandosi sulla costa, tra le province di Lucca e Pisa, si entra nel Parco regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, un altro gioiello naturalistico toscano che comprende il lago di Massaciuccoli, le foci dei fiumi Serchio, Arno e Fiume Morto, la tenuta di San Rossore, le pinete del Tombolo, di Migliarino e della Macchia Lucchese, e la torre e le secche della Meloria. L’area della riserva Selve costiere di Toscana è stata inserita nella Rete delle riserve Uomo e biosfera (Mab) Unesco. E il suo cuore batte nella tenuta San Rossore, un paesaggio umido di quasi cinquemila ettari che vanta ambienti differenti come macchia mediterranea, pinete, paludi e dune. Il lago e palude di Massaciuccoli è anche stato dichiarato zona umida di importanza internazionale secondo la Convenzione di Ramsar.

Gli arenili pettinati della Versilia sono a pochi minuti da qui eppure sembrano lontanissimi. Nelle selvagge spiagge di San Rossore resistono quasi indisturbate distese di dune spettinate dall’ammofila, sopra le quali saltella il fratino e si aggirano beccacce di mare, chiurli e ghiandaie marine. Mentre nei lembi di bosco misto e nelle vaste pinete vivono daini, cinghiali e anche lupi. Furono i Medici a piantare i pini, dopo le bonifiche come riserva di caccia. E proprio a loro è legata la curiosa storia dei dromedari di San Rossore. Importati nel 1622 dal granduca Ferdinando II de’ Medici, e ben adattatisi, arrivarono a superare i 230 esemplari nel 1944, per poi estinguersi a causa della guerra e della penuria di cibo. Fino al 2014, quando un progetto legato agli scout portò a reintrodurne tre esemplari che tuttora vivono nell’area. Una presenza esotica che si accompagna ai cavalli introdotti dal Settecento, con tanto di scuderie e ippodromo, e alle razze bovine antiche come il Mucco pisano.

Dopotutto, prima di essere ceduta alla Regione e all’ente parco, la tenuta fu anche residenza estiva dei Savoia. Oggi è un’area protetta da diversi enti e associazioni come la Lega italiana protezione uccelli (Lipu) che gestisce l’oasi avifaunistica di Massaciuccoli, fra torbiere e canneti. E, se proteggere significa conoscere, il viaggiatore consapevole non può che avere a cuore le attività insieme alle guide del parco come il birdwatching, dove avvistare aironi bianchi e cenerini, Cavalieri d’Italia e specie dai nomi curiosi come il combattente e la pettegola.

Viaggiare con lo spirito

Viaggiare con lo spirito significa meditare, riflettere, ritrovare sé stessi passo dopo passo. È ciò che si può fare con i Cammini toscani che riconnettono lo spirito con la natura fra sentieri antichi come il sentiero delle Foreste sacre, sulla via di Francesco, la via Romea e la via Francigena.

Abete bianco
Abete bianco © N. Agostini / Ente parco Foreste Casentinesi

Le Foreste sacre del Casentino

Quello che si consuma tra i boschi secolari del Parco nazionale Foreste Casentinesi è un antico legame fra ricerca spirituale ed elemento naturale. Un viaggio che trova sui crinali appenninici toscani la sua più alta realizzazione, incrociando il cammino con figure di santi che hanno trovato qui la pace dello spirito. Una quiete che chiunque può raggiungere percorrendo il sentiero delle Foreste sacre, dove altissimi faggi e ombrose abetine sono da mille anni rifugio di preghiera e contemplazione. Il cammino in sette tappe si snoda su cento chilometri da Lago di Ponte di Tredozio fino a La Verna, passando per Camaldoli.

È fra questi luoghi di silenzio che si ritrovano i due fulcri della tradizione sacra. Il primo è l’eremo di Camaldoli, tra il Pratomagno e il Monte Falterona, dove nel 1012 San Romualdo fece sosta attirato dalla bellezza solitaria della foresta. Qui ancora oggi i monaci camaldolesi si ritirano in eremitaggio attorno alla chiesa barocca dedicata alla trasfigurazione di Gesù. Un tesoro che contende lo sguardo alla straordinaria foresta di abete bianco circostante, dove raccogliersi ascoltando il canto degli uccelli e lo scroscio dei torrenti. Appena sotto, Romualdo decise di fondare un ricovero per viandanti e pellegrini che tuttora accoglie i passanti, fra i chiostri millenari e la chiesa che custodisce tele di Giorgio Vasari.

Ma ciò che incanta l’occhio e calma lo spirito è lo scenario verde tutt’intorno, preservato grazie alla gestione monastica. Seguendo la regola benedettina dell’ora et labora, infatti, i monaci camaldolesi si sono dedicati alla selvicoltura, la cura del patrimonio forestale, che nei secoli ha fornito la legna per le impalcature del Duomo di Firenze e per le navi della flotta pisana. Nel 1520 la tipografia del monastero diede alle stampe la Regola di vita eremitica che conteneva anche le norme di gestione del patrimonio boschivo, inteso come atto d’amore nei confronti del Creato. Queste indicazioni sono state la base per i primi codici forestali.

Alcune ore di cammino più a sud conducono all’altro cuore sacro delle Foreste Casentinesi, il monte della Verna lungo la via di Francesco. La rupe calcarea di monte Penna svetta dalle faggete che si contemplano passo dopo passo fra i loro alti fusti e le rocce ricoperte di muschi. Uno scenario che sembra uscito dalle pagine di un romanzo di Tolkien e che deve la sua varietà a otto secoli di gestione francescana. Una gestione forestale diversa da quella camaldolese che alla coltura sostituisce la custodia nella sua naturale evoluzione.

Come custode del monte e della comunità monastica insediatasi attorno, frate Francesco ne è oggi il guardiano. Lo abbiamo incontrato tra le pareti di pietra del monastero che, ogni anno, vede il passaggio di quattrocentomila visitatori, attratti da cammini di fede o semplicemente dal misticismo che questo luogo emana. Il santuario sembra nascere dalla pietra stessa in un’armonia perfetta con la natura, un po’ quello che Frank Lloyd Wright definirebbe architettura organica. “Cosa cercano le persone che vengono qua? Il ventaglio delle possibilità e degli incontri che viviamo è molto vario: dai cristiani in cammino ai non credenti che sentono un beneficio e si mettono in ascolto di questo uomo particolarmente eloquente ancora oggi”, racconta frate Francesco. “Abbiamo il più grande ciclo di opere di Andrea Della Robbia al mondo e un contesto naturalistico unico. Per molte persone anche lontane dalla fede, la Verna segna un luogo di svolta, una ri-partenza spirituale e umana.”

Frate Francesco, guardiano del santuario della Verna

“La foresta della Verna è il nostro habitat naturale da otto secoli. […] È rimasta gestita dalle regole della foresta, quindi anche l’intervento di uso che i frati ne hanno fatto è sempre stato mirato a mantenere un habitat naturale quasi incontaminato”.

Frate Francesco

“Ora ci stiamo preparando a celebrare l’ottavo centenario delle stigmate di San Francesco, 1224-2024, in quello che sarà un anno giubilare importante per la Verna”, ci spiega. “Tra le varie iniziative in programma c’è anche la realizzazione di una nuova cappella nella foresta, oltre alla quindicina di cappelle rinascimentali diffuse nel bosco. E visto che sempre più persone non religiose o praticanti sentono il beneficio spirituale dell’esperienza all’interno di questa foresta, abbiamo pensato di realizzare uno spazio di silenzio e meditazione che consenta a chiunque di poter sostare in dialogo con la natura. Per realizzare questa cappella abbiamo coinvolto trenta giovani architetti da tutta Italia che in questi mesi stanno facendo un percorso di formazione all’architettura sacra. Ognuno di questi produrrà la sua proposta”.

L’Atlante dei Cammini toscani

Toscana terra di cammini, un binomio che unisce gambe e spirito con uno sguardo a paesaggi, pievi e santuari a ritmo lento. Non a caso esiste un Atlante dei Cammini toscani che raccoglie sette itinerari storici, culturali e spirituali lungo la regione, ideali da fare in ottica di turismo sostenibile. Fra questi spicca la via Francigena, considerata la via maestra, che da Canterbury a Roma conta ben quarantacinque tappe per mille chilometri, di cui 394 in Toscana. Il suo andamento lento lambisce le foreste di San Rossore scendendo da Pisa, Lucca e Livorno e attraversa il paesaggio culturale e spirituale della Val d’Orcia passando per San Quirico d’Orcia, Bagno Vignoni e salendo a Radicofani. Proprio qui si distingue per il paesaggio quasi astratto, metafisico delle Crete, pieghe argillose che sembrano quelle dell’anima e invitano alla contemplazione.

E in un crocevia di cammini spirituali, quasi a incrociarsi con la via Francigena, in Val d’Orcia passa anche la via Romea Sanese, il percorso verso Roma che da Firenze raggiunge Siena. Quattro tappe che si snodano tra il Chianti e la campagna senese fra pievi, basiliche e poggi isolati.

Viaggiare con il corpo

Viaggiare con il corpo significa muoversi in maniera lenta e consapevole. E quale miglior modo di conoscere a fondo un territorio se non la bicicletta? Il cicloturismo, insieme ai cammini, è proprio l’attività sportiva più adatta al viaggiatore sostenibile che, così, può apprezzare con lentezza tutto il bello e il buono della Toscana.

mountain bike foreste casentinesi
In mountain bike sui sentieri che attraversano l’Appennino toscano, nel cuore delle Foreste casentinesi © Nevio Agostini

Itinerari cicloturistici adatti a tutti, dalle famiglie agli sportivi

In cerca d’ispirazione? Ben duecento sono i tour caricati sull’Atlante degli itinerari cicloturistici, tra strade bianche, piste ciclopedonali e percorsi a basso scorrimento dove immergersi nella natura e nella cultura del territorio in sella a una mountain bike, a una gravel bike o a una bici elettrica.

La Toscana, con la sua varietà paesaggistica, offre terreni per tutte le gambe. I più allenati possono mettersi alla prova con l’Appennino Bike Tour, che attraversa le foreste casentinesi contando su stazioni di riparazione dotate di pompe, chiavi inglesi, panche e pannelli informativi realizzate da Misura, Vivi Appennino e Legambiente. A disposizione dei cicloturisti impegnati su questi tracciati c’è anche l’app CicloAppennino.

Dai crinali appenninici alle colline, il passo – o meglio la pedalata – è breve, ma diventa Eroica. Il nome evoca la celebre corsa ciclistica non competitiva in abiti vintage che, dal 1997, grazie a Giancarlo Brocci si celebra come una variopinta festa sulle strade bianche partendo da Greve in Chianti (nel 2023 sarà dal 30 settembre al primo ottobre). Oggi è un movimento che attraversa le colline della Toscana da cartolina fra il Chianti Classico e la Val d’Orcia. Non è necessario essere “eroici” nel senso avventuroso del termine, perché l’Eroica ammette mille varianti. Come il percorso di 27 chilometri a sud di Montalcino che permette anche alle famiglie di cimentarsi sui dodici chilometri di strade bianche e i quindici di strada asfaltata.

A riprova della vocazione cicloturistica della Toscana, è arrivato anche l’Oscar italiano del cicloturismo. Il premio, assegnato da otto edizioni alle migliori ciclovie verdi con servizi mirati al turismo lento, nel 2023 è andato alla ciclopedonale Puccini che lambisce il Parco regionale Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli. Si estende lungo 58 chilometri pianeggianti da Lucca a Torre del Lago, tra fiumi, boschi e stagni, dove trova spazio l’oasi avifaunistica di Massaciuccoli. La particolarità di questa ciclabile risiede nella sua musicalità. Oltre alla colonna sonora offerta dalla natura, infatti, la segnaletica riporta un qr code grazie al quale ascoltare le sinfonie di Giacomo Puccini che proprie a Torre del Lago trascorse trent’anni della sua vita, ispirato dall’ambiente naturale.

Viaggiare con i sensi

Viaggiare con i sensi significa prendersi del tempo per assaporare e gustare le eccellenze del territorio con attenzione alla sostenibilità. Nel nostro viaggio tra le aree verdi abbiamo incontrato piccole produzioni responsabili che trasformano i saperi della terra e del bosco in sapori di nicchia. Una filiera corta valorizzata da Vetrina Toscana, il progetto regionale che riunisce produttori, botteghe, ristoranti e attività di turismo enogastronomico. In questo network si condivide un manifesto dei valori che passa per la stagionalità delle materie prime, la filiera corta, la lotta contro lo spreco alimentare, l’agricoltura biologica o integrata.

Vetrina Toscana
Vetrina Toscana è il progetto di Regione e Unioncamere Toscana che promuove ristoranti e botteghe alimentari che utilizzano i prodotti del territorio, nonché i produttori veri e propri © Fani Kurti/iStockphoto

Il miele di spiaggia dalle dune protette di San Rossore

Fra le produzioni responsabili toscane c’è il miele di spiaggia, che nasce dall’habitat protetto del litorale di San Rossore. Qui, sulle dune a ridosso della pineta, l’apicoltrice Donatella Baldi – dell’omonima azienda agricola – ha installato una trentina di arnie e produce un miele biologico certificato dal Consorzio controllo prodotti biologici. Nato quasi per gioco diversi anni fa da un gruppo di amici apicoltori, il miele di spiaggia è diventato un prodotto proprio grazie alla perseveranza di Donatella.

A spiegarne la particolarità è Angela Cardi, responsabile commerciale di quest’azienda agricola familiare al femminile. “Il miele di spiaggia viene prodotto solo in questo tratto della costa toscana e, un po’ come per il terroir del vino, deve tutto al particolare microclima. Un mix di venti, territorio, area protetta e piante di macchia mediterranea sulle quali si posano le api”.

Angela Cardi, responsabile commerciale DB Donatella Baldi

Fra queste, oltre a piantine come giglio di mare, mirto, cisto, ginepro, lavanda selvatica e verga d’oro dei litorali, vi è una particolare varietà di elicriso dal profumo molto più intenso, noto da queste parti come camuciolo. “L’università di Pisa ha scoperto che l’elicriso non ha nettare”, continua Angela. “Quindi le api riescono a prendere l’olio essenziale dal fiore che poi trasportano nel miele. Il risultato è un miele molto profumato e saporito dalle caratteristiche organolettiche complesse, apprezzato anche dagli chef stellati”. Un sapore di mare che trova applicazione anche nella dermocosmetica con una nuova linea dalle proprietà nutrienti e antiage.

Angela Cardi, responsabile commerciale DB Donatella Baldi

Le essenze del bosco nei prodotti dei monaci camaldolesi

Antica farmacia dei monaci camaldolesi
L’Antica farmacia dei monaci camaldolesi © Lorenzo Biasia / LifeGate

Alambicchi in rame, torchi in legno, orci in maiolica, bilancini, mortai e manoscritti riposti fra mobili intagliati. Entrare negli spazi trecenteschi dell’Antica farmacia dei monaci camaldolesi è come varcare la soglia di un piccolo mondo antico, dove operosi monaci speziali preparavano medicamenti e rimedi per i malati dell’Ospizio del monastero. Una sapienza che con la conversione da infermeria a foresteria, sul finire dell’Ottocento, non si disperde, bensì si evolve. Da questo periodo in poi, i prodotti della farmacia si convertono in preparati ad uso cosmetico e alimentare adattati ai tempi moderni, ma rispettosi della sapienza secolare.

Tra gli ingredienti dei prodotti che ancora oggi si possono acquistare ci sono le erbe, i fiori e i frutti raccolti da quella “farmacia naturale” che è la tenuta di Camaldoli. Tisane certificate biologiche, caramelle e liquori sono ancora lavorati nelle cantine del monastero. Il più antico? È la Lacrima d’abeto, la cui ricetta a base di gemme di abete risale al XV secolo. E non è un caso che i monaci abbiano introdotto attorno all’eremo proprio la coltura di abetine, alberi preziosi per i preparati farmaceutici e per le caramelle gemme di pino. Ma Il liquore più conosciuto di Camaldoli è il Laurus 48, dal numero della gradazione alcolica. Si prepara grazie all’infusione a freddo di dodici erbe a cominciare dall’alloro che gli conferisce il tipico aroma di bosco.

Viaggiare con la mente

Viaggiare con la mente significa conoscere, esplorare, avere uno sguardo curioso. E quando si parla di Toscana non si può che pensare a un paesaggio culturale, un luogo dove l’uomo è sceso a patti con la natura modellandola secondo ideali di armonia.

 San Quirico d'Orcia
Chiesa di San Quirico d’Orcia © Gabriele Maltinti/iStockphoto

La Val d’Orcia, un patrimonio mondiale Unesco

Proprio i canoni di bellezza rinascimentale hanno guidato la mano e l’ingegno di architetti e urbanisti in Val d’Orcia, tra i colli ondulati della campagna senese, e nel 2004 hanno convinto l’Unesco a inserire questo paesaggio culturale fra i Patrimoni mondiali dell’umanità. Curiosi di conoscerlo? Vi portiamo tra i suoi tesori che hanno forse la loro più piena realizzazione a Pienza, a sua volta Patrimonio Unesco per via di quel pallino per le proporzioni. A volerla così, una città ideale del Rinascimento, fu Enea Silvio Piccolomini, umanista e papa eletto con il nome di Pio II. La sua utopia di perfezione armonica prende forma nel disegno urbanistico che si ammira nella piazza centrale trapezoidale progettata da Bernardo Rossellino proprio per dare l’illusione di maggiore grandezza. Vi si affacciano gli edifici più importanti, come il Duomo in candido travertino e i palazzi Borgia e Piccolomini che sono, a loro volta, scrigni di bellezza con opere d’arte di Lorenzetti e Signorelli. La stessa bellezza che si ammira spostandosi a Castiglione d’Orcia, dove la sala d’arte San Giovanni ospita raffinate Madonne con bambino di Simone Martini, Lorenzo di Pietro (detto il Vecchietta) e Giovanni di Paolo. E poi ci sono i gioielli medievali di Montalcino, Montepulciano e San Quirico d’Orcia con le loro fortificazioni dominanti dall’alto dei poggi.

Il paesaggio increspato delle crete senesi e ondulato dei colli ha ispirato artisti, fotografi e cineasti. Basti pensare ai cipressi, piante iconiche che perfettamente s’integrano alle architetture umane. È il caso della Cappella della Madonna di Vitaleta, una chiesetta cinquecentesca sulla strada per San Quirico d’Orcia che è diventata un’opera d’arte grazie alle alte piante che sembrano quasi sorvegliarla. O basta ricordare le scene del film Nostalghia di Andrej Tarkovskij, che hanno reso immortale in oniriche sequenze la Piazza delle sorgenti, una vasca termale cinquecentesca attorno alla quale è raccolta Bagno Vignoni.

E ancora, basta perdersi fra le opere d’arte contemporanee che dialogano con il giardino storico degli Horti leonini, a San Quirico d’Orcia per capre quanto paesaggio e cultura siano intimamente legati da uno scambio di favori. Qui da ben cinquantadue edizioni va in scena il festival en plein air Forme nel Verde che, da luglio a novembre, porta in questo luogo antico le sculture e installazioni di un artista di oggi. L’edizione 2023 ha come protagonista le figure umane di Emanuele Giannelli. L’artista mette al centro della scena l’uomo, con le sue virtù e debolezze, ma sempre in rapporto con l’ambiente che abita, dal quale non può prescindere.

Il paesaggio dantesco del Casentinese

Dal paesaggio culturale della Val d’Orcia ci si sposta a quello dantesco del casentino, dove la natura fa rima con cultura. Nel Casentinese, infatti, Dante Alighieri trascorse parte della propria vita dopo l’esilio da Firenze, soggiornando nei diversi castelli dei Guidi. Fu la natura rigogliosa, ombrosa e ricca d’acqua che ispirò molti versi della Divina Commedia. E tra i monumenti naturali che più lo colpirono ci sono le Cascate dell’Acquacheta, descritte nel XVI Canto dell’Inferno.

Cascata dell'Acquacheta
Cascata dell’Acquacheta © Giulia Pinzauti/Wikimedia Commons

Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ‘nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
che si chiama Acquacheta suso, avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa.
Inferno, Canto XVI

Più avanti, nel XXX canto, il sommo poeta descrive ruscelletti che attraversano i verdi colli del Casentino e vanno a gettarsi in Arno. E ancora, nel V Canto del Purgatorio, in occasione dell’incontro con Bonconte da Montefeltro parla del torrente Archiano che nasce sopra l’Eremo di Camaldoli e si getta in Arno ai piedi del Casentino (presso Bibbiena). Proprio l’Eremo verrà citato nel XXII canto del Paradiso con i suoi monaci chiusi nelle proprie celle. Così come l’altro tesoro sacro, il monte francescano della Verna, riportato nell’XI canto del Paradiso come quel “crudo sasso intra Tevere e Arno”.

Il paesaggio culturale dantesco del Casentino è anche fatto di castelli. Il più noto è quello di Poppi, dove nel 1310 Dante fu ospite dei Conti Guidi, come ricorda il busto posto all’ingresso. Un’elegante silhouette medievale, poi rimaneggiata nell’800, accoglie i visitatori con l’alta torre, le merlature, il fossato e le bifore decorate dagli stemmi, i più preziosi dei quali sono realizzati in terracotta invetriata dai Della Robbia.

Sicuramente sarebbe stata apprezzata anche dal padre della lingua italiana la Biblioteca Rilliana, uno scrigno di migliaia di volumi antichi realizzato nel XIX secolo, alla morte del Conte Orsini. Fra gli altri manieri in cui soggiornò Dante figura il Castello di Romena, oggi poco più che un rudere, che si staglia con le sue torri su un paesaggio affascinante fatto di cipressi, prati e fonti. Citata nel XXX canto dell’Inferno è la vicina Pieve di Romena, un gioiello romanico dichiarato Monumento nazionale che conserva colonnine fini e capitelli istoriati. Sul colle opposto troneggia poi l’altro castello in cui Dante soggiornò, quello di Porciano, la cui torre domina la valle dell’Arno fino a Bibbiena. Una visione “divina”, immersa com’è nel paesaggio boschivo casentinese che trasporta la mente altrove e rafforza l’idea di questa terra come un unicum di cultura e natura.

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