L’ora alternativa, la serie con al centro gli adolescenti di seconda generazione

La serie L’ora alternativa promossa da WeWorld è una storia corale e di formazione che rende la diversità culturale come una normalità nella vita delle città di oggi.

L’adolescenza e il passaggio all’età adulta sono una storia universale, nonostante i background differenti. Possiamo riassumere così la lezione della serie L’ora alternativa, la miniserie di quattro episodi dove i protagonisti sono ragazzi e ragazze di seconda generazione, figli di migranti dove le complessità tipiche dell’adolescenza si intrecciano ai processi di integrazione fuori e dentro le mura scolastiche.

“Volevamo creare un prodotto che non solo parlasse alle nuove generazioni, ma che mettesse al centro il loro punto di vista e raccontasse quanto è difficile trovare la propria voce e avere il coraggio di farla sentire – spiega Erica Scigliuolo, coordinatrice comunicazione dell’attività di WeWorld – Quando si parla di seconde generazioni e partecipazione delle persone da background migratorio troppo spesso il punto di vista rimane esterno, parziale con il forte rischio di stereotipizzazioni ed estremizzazioni. Al centro del racconto non c’è il loro background ma ci sono loro”.

L’ora alternativa 

La serie si concentra sulle storie di alcuni studenti, accomunati dal fatto che non frequentano l’ora di religione e che, quindi, fanno l’ora alternativa. Questi ragazzi, che solitamente gestiscono in libertà quel tempo, vengono assegnati al professore di musica, impegnato alla preparazione del concerto di fine anno. Il professore non è soddisfatto di questa decisione e le nuove presenze in classe cambieranno completamente gli equilibri.

Gli episodi si svolgono nello stesso arco temporale, hanno la stessa sequenza degli avvenimenti, ma un punto di vista diverso per ogni puntata. Il personaggio principale cambia sempre, con una storia propria e un tema centrale differente, rendendo la serie una storia corale con un significato universale, che emerge nell’ultima puntata.

La scuola come un esempio della società

I temi centrali sono quelli classici dell’adolescenza. Si parla di marginalizzazione, di auto-isolamento, della questione di classe, del senso di perdita e abbandono, ma anche di amicizia e coraggio, mostrando attraverso diversi punti di vista le difficoltà e le emozioni che si provano nel vivere in bilico tra culture in collisione tra loro.

Non si parla, però, di conflitto tra cultura di origine e quella italiana, è più un conflitto intergenerazionale e con la società, in questo caso rappresentata dalla scuola. Una contrapposizione tra il mondo adulto e istituzionalizzato e quello che le nuove generazioni vogliono contribuire a costruire.

“Il film esplora la scuola come una miniatura della società. La scuola diventa così un microcosmo che riflette le dinamiche più ampie della società – racconta il regista Ali Ben Mohamed – La serie cerca di rendere la diversità culturale come una normalità nella vita della città di oggi. La serie ritrae giovani di seconda generazione non come delle vittime, né come degli alieni, ma come ragazzi e ragazze che desiderano avere una vita normale e spensierata come i loro coetanei”.

La serie è prodotta da Koala Joint Venture, dei fratelli Ali, Mouadh e Takoua Ben Mohamed, e da WeWorld, nell’ambito del progetto Shape finanziato dall’Unione Europea. WeWorld è un’organizzazione che da oltre 50 anni porta avanti progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario in 27 paesi con l’obiettivo di portare al centro chi è ai margini.  Sarà distribuita a livello europeo e sottotitolata in inglese e nelle diverse lingue dei partner aderenti al progetto: Comuni di Lousada e Stoccarda; Alda; WeWorld, Fondation Artmisszio (Ungheria), RightChallenge (Portogallo), Jesuit Refugee Service (Croazia), Laka (Germania); l’associazione Conngi  – Coordinamento nazionale nuove generazioni italiane.

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