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Non si può impedire ai popoli di proseguire la lotta per il clima. Naomi Klein ha parlato alla Zone d’action pour le climat, a Parigi. Ecco cosa ha detto.
C’è lo spazio espositivo di Le Bourget, dove sono in corso i negoziati ufficiali sul clima, e c’è il centro Centquatre (104) che dal 7 all’11 dicembre ha ospitato la Zone d’action pour le climat (Zac), uno spazio alternativo alla Cop 21 dove si sono raccolte le voci di dissenso e di proposta. Un luogo aperto per dare a tutti la possibilità di esprimere la propria idea, di far sentire la propria voce. Due libertà apparentemente ovvie, il pensiero e la parola, ma che in questi giorni, soprattutto a Parigi, non sono state garantite. Lo stato d’emergenza proclamato dal presidente francese François Hollande in seguito agli attacchi terroristici del 13 novembre, infatti, ha spento qualsiasi tipo di energia positiva all’aria aperta, confinando ogni attività in luoghi ben precisi.
Ed è qui, alla Zac, che ha deciso di andare giovedì 10 dicembre la giornalista e scrittrice canadese Naomi Klein per portare la sua battaglia contro il capitalismo, per porre al centro dell’attenzione le ambiguità degli accordi di libero scambio, quali il segretissimo Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Ttip) che mira a liberalizzare il commercio tra Europa e Stati Uniti in favore di una gigantesca area senza barriere. Accordi che metterebbero a dura prova il raggiungimento di un accordo profondo contro i cambiamenti climatici.
“A Parigi non si raggiungerà nessun accordo vincolante perché gli Stati Uniti sanno già di non poter sottoscrivere alcun trattato internazionale senza l’approvazione del congresso che in questo momento è guidato da politici che difendono gli interessi delle lobby del petrolio e del carbone”, ha esordito Klein. Per questo “ci vogliono lotte coordinate e senza sosta contro il fracking negli Stati Uniti e in Europa, contro l’oleodotto Keystone XL, contro le trivellazioni nell’Artico”, ha proseguito Klein, esortando le oltre tremila persone presenti al dibattito a chiedere ai governi una transizione energetica che renda l’accesso a questa risorsa più orizzontale, e quindi democratico. E quale altro modo per raggiungerla se non attraverso le rinnovabili?
Inoltre Klein ha fatto anche riferimento al dibattito in corso a Le Bourget su chi deve pagare in caso di disastro ambientale o evento meteo estremo, chi deve sborsare i soldi per aiutare i paesi colpiti a rialzarsi. Un aspetto che nel futuro accordo prende il nome di “loss and damage”. Klein ha le idee chiare: “L’unica soluzione possibile è far pagare il conto a chi inquina”.
Klein ha di recente scritto un libro, da cui è stato tratto un documentario, dal titolo Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile (This changes everything, in inglese). Un testo che chiede cambiamenti radicali nello stile di vita delle popolazioni, nel modo in cui si produce e si gestiscono le attività economiche. Un appello a smettere subito di sfruttare le risorse della Terra come fossero inesauribili, senza guardare alle conseguenze delle nostre azioni sulle comunità, sull’ambiente, sul clima. Il riscaldamento globale, dunque, è l’ultima arma – secondo Klein – per cercare di andare oltre il capitalismo, verso un sistema economico circolare che elimini definitivamente gli sprechi, senza alcun rispetto della nostra casa comune.
Per tutti questi motivi e nonostante le preoccupazioni per la sicurezza, le principali organizzazioni ambientaliste francesi e internazionali hanno convocato una manifestazione a Parigi per sabato 12 dicembre (ore 14:00) a Champ de Mars, nei pressi della torre Eiffel. Un ritrovo pacifico, ma determinato a far sentire la voce di chi quotidianamente soffre gli effetti del riscaldamento globale. Perché non è solo il terrorismo a mietere vittime innocenti. I morti causati o legati ai disastri naturali o collegati ai cambiamenti climatici sarebbero più di 600mila negli ultimi vent’anni, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. Ecco perché non si può impedire alle persone, alle genti, ai popoli più vulnerabili atterrati nella capitale francese da terre e isole lontane di scendere in piazza. Per loro lottare significa sopravvivere.
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