Lucia Annibali. La violenza sulle donne è strutturale, va combattuta con istruzione e prevenzione

La violenza subita ha trasformata Lucia Annibali in una donna ancora più combattiva di quando faceva l’avvocato: da un anno e mezzo in Parlamento, “molte cose sono state fatte contro la violenza sulle donne, ma ora vedo un passo indietro. Bisogna battere certi pregiudizi investendo nella scuola”.

Il mio impegno politico è il frutto di una lunga riflessione. Mi considero una donna libera, e avevo bisogno di capire se il luogo in cui stavo andando, il Parlamento, mi avrebbe condizionata: devo dire che però ho capito di essere molto motivata. Certo, portare qui il mio dolore è molto molto complicato, specie perché in questo periodo si ha come la sensazione di non essere molto ascoltati.Lucia Annibali

Lucia Annibali era una giovane e brillante avvocata, prima che la sua vita cambiasse per sempre una sera del 2013 a causa di una brutale aggressione con l’acido da parte di due uomini mandati dal suo ex compagno Luca Varani, lui poi condannato a vent’anni di carcere, a dodici i due esecutori.

Dall’elaborazione di quella vicenda, da una lotta fatta di forza, dolore e tanti interventi al volto, è nato un impegno politico diretto, soprattutto per la lotta alla violenza contro le donne: prima un ruolo da consigliera al Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, ora quello da parlamentare nelle file del Partito democratico. E ogni occasione, come il convegno che si è tenuto al Senato il 23 luglio per parlare del Codice rosso appena approvato, che tra le altre cose introduce anche il reato di danneggiamento permanente al volto, è quella giusta per ricordare una cosa importante: “La violenza sulle donne non è un’emergenza sociale, è un fatto strutturale della società”.

Lucia Annibali / Ansa
Lucia Annibali, avvocata, oggi è parlamentare del Pd e si batte contro la violenza sulle donne © Ansa

Il Parlamento ha approvato il Codice rosso, che contiene norme contro la violenza sulle donne. Ma il suo giudizio sul testo è stato negativo, come mai?
Intanto è stato detto che il Codice rosso rappresenta un primo passo rispetto a questo tema ma per fortuna non è vero: non siamo all’anno zero, nella scorsa legislatura si è ratificata la Convenzione di Istanbul, si è fatta la legge sul femminicidio, il Codice antimafia che contiene norme che riguardano il reato di stalking. E poi ci sono stati i diversi piani antiviolenza che avevamo scritto e realizzato al dipartimento delle Pari opportunità. Questo provvedimento doveva migliorare e rafforzare quello che manca soprattutto sulla protezione delle donne, invece non è così: innanzitutto perché è a invarianza finanziaria, e questo è un grande passo indietro perché si smette di investire su un tema fondamentale.

Cosa ne pensa dell’obbligo per le autorità di ascoltare la vittima di violenze entro tre giorni dalla denuncia? 
Nei tre giorni che dovrebbero passare la donna non è messa in protezione, non è affidata allo Stato, e noi sappiamo che quello dopo la denuncia è il momento più delicato. In realtà è soltanto un provvedimento punitivo, che racconta la violenza come un dato di fatto, perché non si pensa alla prevenzione, non si investe sulla formazione e ci sono soluzioni normative che sono delle distorsioni: è stato introdotto il reato di revenge porn, e va bene, ma non è stato inserito tra quelli per i quali bisogna essere sentiti entro tre giorni. Che poi in realtà pare che questi tre giorni debbano servire per verificare se le denunce sono credibili o se si tratta solo di “donne isteriche”, come ha detto qualcuno nella maggioranza.

Investire sulla formazione, più che reprimere i reati, sarebbe perciò la risposta ideale?
Certamente, invece manca la prevenzione. Il grande assente nelle politiche contro la violenza è il ministero dell’Istruzione, la scuola, che sta subendo tagli notevoli e che non è affatto coinvolta in questo tema. Si investe nella formazione delle forze dell’ordine, e va bene, ma non nel coinvolgimento dei ragazzi. Forse non si vogliono finanziare progetti a pioggia, ma noi nei cinque anni scorsi abbiamo fatto tanti progetti con le scuole, e io personalmente sono andata a verificarli.  


Sta dicendo che mentre si interviene sulla giustizia, magari inasprendo le pene, si tralascia l’aspetto sociale del problema?
Sì, c’è una contraddizione enorme proprio sul piano culturale. Sto vedendo nella società un passo indietro evidente, attacchi sessisti nei confronti delle donne, una sorta di ridicolizzazione in alcuni casi. Politicamente, poi, c’è anche la questione degli affidi: si sta cercando di far passare questa teoria dell’alienazione parentale che è terribile e pericolosissima, non solo per le donne ma anche per il bambino.

Lei è riuscita a uscire da quello che le è successo come una donna nuova, ha raccontato la sua storia in un libro, Io ci sono. La mia storia di non amore, si è messa in gioco in politica, ma per tante altre donne il trauma spesso è insuperabile. Cosa può fare realmente lo Stato per loro?
Il trauma è anche in chi riesce ad andate avanti, è sempre qualcosa che mina la tua sicurezza, intesa anche come sicurezza fisica, come protezione. Lo stato deve iniziare a farsi carico con serietà di questo tema e di queste sofferenze, metterle al centro, perché non è un tema marginale che capita ogni tanto, ma qualcosa che nasce e si radica nel contesto sociale. È lì che si alimentano tutti i pregiudizi che poi fanno sì che le singole storie non vengano valutate correttamente. È importante invece dare un sostegno reale, profondo e quotidiano così come si fa rispetto ad altre politiche.

Non siamo all’anno zero, dunque, ma c’è ancora molto da fare…
Mi pare che le politiche su questo tema siano troppo marginali e che risentano un po’ dei pregiudizi di cui si alimentano: abbiamo questo patriarcato insito dentro di noi, nella società, lo vediamo anche nelle pratiche dei tribunali. La commissione sul femminicidio in Parlamento si occupa anche di questo. Forse dovremmo essere più liberi dagli stereotipi, dai pregiudizi, e riconoscere che non siamo di fronte a un’emergenza sociale ma a un dato strutturale della società. Immaginiamo se fosse invertito il problema, se avessimo tanti uomini uccisi: forse se ne parlerebbe di più.

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