Matteo Messina Denaro è morto. Non a casa sua, da latitante, come aveva sperato e come era accaduto anche a suo padre, altro boss della mafia. È morto nell’ospedale per latitanti de L’Aquila, stroncato da un tumore al colon. Lo stesso che lo aveva portato all’arresto, poiché proprio per via della malattia era stato costretto a frequentare medici e ospedali. “Altrimenti non mi avreste mai preso”, aveva dichiarato, sprezzante, ai giudici che lo avevano interrogato.
Fino all’ultimo ha rifiutato di collaborare con la giustizia, ma poi è stato costretto ad affidare la sua vita allo stato
Spavaldo. Fino all’ultimo momento. A quegli stessi magistrati aveva aggiunto chiaro e tondo: “Io non mi pentirò mai”. Come i fratelli Graviano, che marciscono in carcere da decenni e che, però, non hanno mai voluto collaborare con la giustizia. Come Totò Riina, morto in carcere senza mai vuotare il sacco. Così, quell’uomo dal volto impassibile, lo sguardo dritto di fronte a lui, sulla coscienza una scia infinita di sangue, morti, feriti, la sua partita l’ha persa. Benché sia rimasto nelle mani dello stato solamente poco più di otto mesi.
Ma a quello stato, paradossalmente, lui stesso ha dovuto affidarsi. È lo stato che lo curava prima della sua cattura. È lo stato che ha continuato a farlo negli ultimi mesi. È lo stato che gli ha garantito il ricovero, la chemioterapia, i medici, gli infermieri, una sala operatoria. Quello stato che lui aveva brutalmente combattuto, è lo stesso al quale si è visto costretto ad affidare la sua stessa vita. In qualche modo, è stata la sconfitta più grande per Messina Denaro e la vittoria più grande da parte delle istituzioni.
Come altri prima di lui, porta però con sé nella tomba un numero infinito di segreti, contatti, nomi, fatti, circostanze. Che avrebbero potuto aiutare i giudici non solo a ricostruire i delitti del passato, ma anche la mappa della mafia di oggi: più silenziosa, meno eclatante, ma sempre presente sul territorio.
Matteo Messina Denaro è morto in un ospedale a L’Aquila
Matteo Messina Denaro muore piuttosto giovane, a soli 61 anni. Ad agosto era stato operato per un’occlusione intestinale. Ultimamente, a causa delle metastasi, era finito in coma, in un’ala blindata dell’ospedale: sorvegliata in ogni momento, dentro e fuori. Secondo quanto riferito dall’agenzia Adnkronos ha chiesto di evitare l’accanimento terapeutico. Per questo, gli è stata sospesa l’alimentazione per endovena.
“Prima di perdere coscienza – riferisce l’agenzia Ansa – ha incontrato alcuni familiari e dato il cognome alla figlia Lorenza Alagna, avuta in latitanza e mai riconosciuta. La ragazza, che aveva incontrato il padre per la prima volta in carcere ad aprile, insieme a una delle sorelle del boss e alla nipote Lorenza Guttadauro, che è anche il difensore del boss, è stata al suo capezzale negli ultimi giorni”.
La salma sarà ora trasferita a Castelvetrano. La cittadina in provincia di Trapani nella quale era nato il 26 aprile del 1962, dalla quale era partita la sua storia criminale e che ora dovrà provare a cancellare la sua memoria.
Dopo l’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro, restano da approfondire i presunti legami tra la cattura e la riforma dell’ergastolo ostativo.
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