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Il 21 marzo è la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Quest’anno cerchiamo di capire come le mafie stanno facendo affari con la pandemia.
Il 18 marzo è stata la prima Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’epidema da coronavirus. Il 21 marzo è la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. È l’edizione numero 26. Mondi apparentemente lontani e distinti, ma che quest’anno hanno trovato diversi punti di intersezione.
Il tema e lo slogan scelti dall’associazione Libera contro le mafie per il 2021 è “A ricordare e riveder le stelle”. Un’occasione, per noi, per fare il punto sulle attività della criminalità organizzata durante quest’anno di pandemia. Perché “le mafie hanno individuato, nelle situazioni di emergenza causate dall’emergenza sanitaria, occasioni di business. E sono arrivate prima di tutti. Sulle sanificazioni, ma anche sullo smaltimento di rifiuti ospedalieri, sulle onoranze funebri. E non ci si ferma solo a questo”, spiega Alessandra Dolci, capo della direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano.
Le mani delle organizzazioni criminali si erano già infilate nelle pieghe del sistema economico. Ora, con la crisi dell’imprenditoria, con il fallimento di numerose attività commerciali, molti “imprenditori sono allettati dai loro ‘servizi’ — continua Dolci —, come nel caso dei prestiti di denaro o del recupero crediti”. La ’ndrangheta, che in Lombardia è presente con 25 “locali”, ovvero gruppi organizzati, è ancora più attiva in questo periodo, come dimostra anche la recente inchiesta Cardine-Metal Money, condotta nelle province di Lecco e Monza e Brianza.
“Come Sos Italia Libera siamo in contatto con tanti imprenditori disperati. Le mafie sono pronte con la loro rete di professionisti a prestare i soldi. Il problema è che nessuno vuole denunciare”, osserva Paolo Bocedi, fondatore dell’associazione e tra i primi imprenditori in Lombardia a ribellarsi alla mafia.
Seppure con uno sguardo diverso, la conclusione a cui arriva Alessandra Dolci è la stessa: “Posso dire che in 20 anni di lavoro in questo campo mi sono capitate pochissime denunce per usura. Da una parte c’è il timore delle vendette che il crimine potrà esercitare anche sui propri cari, dall’altra c’è un discorso di convenienza: otto volte su dieci è degli imprenditori il primo passo verso la criminalità organizzata”.
Le maglie della criminalità organizzata, secondo l’ultimo rapporto della Dia, non si fermano al mondo delle imprese, ma in tempo di pandemia si sono allargate sempre più verso il settore sanitario. Prima le mafie hanno fiutato l’affare con i dispositivi di protezione individuale, come le mascherine e i gel. Ora la criminalità organizzata si interessa alle aziende che producono farmaci per pazienti affetti da Covid-19 e, persino, alla produzione del vaccino.
La mafia da tempo aggrega intorno a sé un numero sempre più rilevante di imprese interessate a servizi a basso costo. La ‘ndrangheta in particolare fornisce ad esempio false fatturazioni alle ditte: anche le attività imprenditoriali sane se ne avvantaggiano. Ad oggi quindi è riduttivo parlare di infiltrazioni mafiose: “Siamo di fronte a una presenza strutturale di ’ndrangheta, camorra e cosa nostra nell’economia lombarda”, ammette Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda.
La pandemia di Covid-19 ha rappresentato e rappresenta una “grande opportunità” per le mafie e lo snellimento delle procedure d’affidamento degli appalti e dei servizi pubblici comporterà seri rischi di infiltrazione mafiosa. I clan sono radicati nelle città come nelle provincie lombarde e mettono le mani sulle imprese, in particolare nell’edilizia e sui servizi. Per via della cosiddetta “area grigia” dei professionisti, come commercialisti, avvocati, personaggi della finanza, le mafie si sono allargati a tutte le attività in cui il peso finanziario del denaro che si può investire spesso in modo spregiudicato perché frutto del riciclo di attività illegali, è garanzia di successo.
“La criminalità organizzata infatti sa fare sistema molto bene, noi dobbiamo saperlo fare meglio — spiega Alessandra Dolci —, costruendo il capitale sociale dell’antimafia: società civile, magistratura, imprenditoria e politica tutti insieme”. Gli imprenditori devono capire che denunciare conviene, aggiunge Bocedi: “Una volta che il magistrato ha accertato l’appartenenza alla criminalità organizzata di chi ha prestato il denaro con modalità estorsive e usuraie, lo stato con l’articolo 644 del codice penale garantisce all’imprenditore un prestito a tasso zero fino ad un milione e mezzo di eurom da restituire in 10 anni. L’articolo 629, inoltre, dispone che alle vittime del pizzo venga garantita la stessa cifra, ma a fondo perduto. Per poter ripartire con la propria attività”.
È così che avviene il reinserimento dell’azienda nel circuito dell’economia legale. “Io vendevo divani e dopo la denuncia, i processi e anni sotto scorta ho ancora la mia attività e in più ho fatto arrestare alcuni esponenti della ‘ndrangheta in provincia di Varese”, conclude il fondatore di Sos Italia Libera.
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