
Ha dato il via ai concerti ad alta quota ben 28 anni fa distinguendosi sin dall’inizio per il rispetto delle terre alte. Sancito anche da un manifesto.
Il rapper varesino Massimo Pericolo si racconta nella prima puntata di Venticinque, il podcast di Rockit e LifeGate sugli ultimi 25 anni di musica italiana.
Il lago di Varese, con la sua calma e la sua malinconia. È questo il primo set di Venticinque, podcast di Rockit e LifeGate scritto da Dario Falcini, Giacomo De Poli e Marco Rip. Una serie di audiodocumentari, online sulle piattaforme di streaming ogni mercoledì, in cui i luoghi e il loro racconto sono protagonisti quanto gli artisti che li abitano. È qui che abbiamo incontrato Massimo Pericolo, nome d’arte di Alessandro Vanetti, rapper varesino classe 1992. Con lui il nastro di Venticinque si riavvolge fino al 2019, anno che ha rappresentato un punto di svolta nella sua vita e per tutto l’hip hop di casa nostra. Un successo, quello che lo nel giro di pochi mesi lo ha letteralmente travolto, che è suonato come un avvertimento: stava arrivando qualcosa di nuovo, potente, violento.
Vanetti ci aspetta nei pressi di Gavirate, paese del lungolago, anonimo per molti e invece semplicemente casa per lui, che tra questi paesi di una provincia che è fisica e pure metafisica, quasi morale, ha scritto la propria storia personale. E che da queste terre non intende scollegare il proprio futuro, anche ora che tutti sanno il suo nome e molti la sua storia non sempre semplice né lineare. Saliamo sulla sua auto – “Sono in fissa con questa marca: per me l’auto è Audi, ora che posso permettermela” – e Alessandro capisce che siamo stati avvisati di quanto possa essere sportivo il suo stile guida e promette che guiderà piano. Poi imposta il navigatore: per la prima volta dal 2014 rifarà la stessa identica strada che, allora su una volante, lo portò in carcere.
Il suo era uno dei nomi coinvolti in un’operazione antidroga ordinata dalla procura di Varese (“in featuring con l’antidroga di Gallarate”, aggiunge). Si chiamava Scialla Semper, come il suo primo disco.
Massimo Pericolo ci porta davanti al luogo – “ma sarebbe meglio dire non luogo: quando stai in carcere, è come se non ci fossi” – in cui la sua vita è cambiata. Poteva andare tutto a rotoli, invece da lì è uscito “non di certo per merito di un sistema che non rieduca, ma grazie alle mie motivazioni”.
Un ragazzo intenzionato a cambiare le cose, a concentrarsi sui propri obiettivi, a fare musica. Dalla casa circondariale in pieno centro città, passando per i paesi del lungolago, tocchiamo in tutti i luoghi che lo hanno formato e hanno ispirato la sua narrazione iperrealista, cruda, capace a suon di verità urlate di fare risvegliare l’Italia dalla lunga sbornia da trap. “Qua è la periferia della periferia della periferia, dove di tutto si mischia. La provincia è un miscuglio disorganico di persone che non ce la fanno e che ce la fanno, che stanno bene e che stanno male. E tutti vivono qua assieme. Questa disarmonia mi ispira”, racconta Massimo Pericolo che ha passato un’intera giornata con lui, godendo del privilegio di condividerne uno spaccato di quotidianità.
Nel primo episodio della serie di audiodocumentari – il prossimo online mercoledì 18 maggio a mezzanotte – ripercorriamo una parabola artistica unica, figlia dei propri tempi. Celebriamo il talento che si trova il modo di imporsi, la determinazione di chi ha sempre messo tutto se stesso nella propria musica, anche quando questa non gli dava indietro nulla. Passiamo davanti ai campi in cui è stato girato il video di 7 miliardi, il pezzo con cui il rapper ha urlato a tutti che era arrivato il suo momento, poi facciamo una passeggiata a Sabbie d’oro, titolo della canzone che a stretto giro ha reso chiaro a tutti che c’erano altre sfaccettature da conoscere, che Massimo Pericolo era una cosa inedita e complessa.
Quello che Massimo Pericolo consegna a Venticinque è un racconto personalissimo. In cui convivono i ricordi della propria infanzia e della propria adolescenza, tra difficoltà e passioni capaci di tenerti a galla (le arti marziali, oltre al rap). Abbiamo incontrato i suoi amici, estremamente talentuosi a stappare le birre con i denti, inaugurato il nuovo bar di Brebbia, parlato della grande truffa chiamata felicità. “Se io posso riprodurre la felicità con una sostanza come la coca, vuol dire che non è quello che devi cercare. La calma, la pace: quella è la felicità per me. Non essere vittima della tempesta emotiva in cui per come sono fatto spesso mi trovo”, dice Vane. Poi abbiamo chiosato sulla musica, la sua funziona terapeutica.
“Io sono una persona complessa, che ha pensieri spesso in contrasto, in conflitto tra loro. Ma nelle canzoni io posso esemplificare me stesso”. Insomma, non potevamo augurarci un esordio migliore per la nostra serie di audiodocumentari, che prenderà in esame personaggi, progetti e momenti storici molto diversi tra loro, fino a comporre un quadro di come è cambiata la musica italiana (e un po’ pure noi) nell’ultimo quarto di secolo. Quindi correte ad ascoltare Venticinque sulle piattaforme di streaming, e fateci sapere.
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