Cosa può accadere dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro

Come potrebbe reagire la mafia, cosa potrebbe fare Messina Denaro, chi prenderà il suo posto? Questi sono gli interrogativi aperti dopo la sua cattura.

La vera vittoria, per lo stato, arriverà quando si riuscirà a capire come sia stato possibile, per Matteo Messina Denaro, sfuggire alla cattura per 30 anni. Su quali coperture abbia potuto contare. Quali connivenze. Se e quali apparati dello stato hanno chiuso un occhio. La vera vittoria, per lo stato, arriverà quando si avrà la certezza che nessuna porzione del suo territorio è fuori dal suo controllo.

Quella di Messina Denaro è “una mafia già morta”

Intervistato da La Stampa, Nino Di Matteo, magistrato che seguì l’inchiesta sulla trattativa stato-mafia, ha spiegato potremo considerarci vittoriosi “quando avremo approfondito e fatto chiarezza sul come e sul perché sia stata possibile una latitanza così lunga. E nonostante l’impegno di migliaia di agenti delle forze dell’ordine e di decine di magistrati. Avevamo identikit molto fedeli. Messina Denaro ha vissuto a Palermo, è stato arrestato in una delle cliniche più frequentate della città”.

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Il boss della mafia Matteo Messina Denaro arrestato dopo 30 anni di latitanza

La cattura resta, sia chiaro, una notizia di cui gioire. Ma tanti interrogativi rimangono aperti, tante domande prive di risposta. E da valutare è anche quanto ciò rappresenti davvero un “colpo” per la mafia. Perché, come scrive Attilio Bolzoni sul quotidiano Domani, quella di Messina Denaro è una mafia già morta. È la mafia del terrorismo, dell’attacco al cuore dello stato con Falcone e Borsellino, al patrimonio artistico con le bombe, alle istituzioni e ai mezzi d’informazione.

La mafia di Matteo Messina Denaro è quella dei corleonesi, ai quali lui era “aggregato”. Unico “non palermitano” ad essere stato, come ricorda Salvo Palazzolo nel suo libro “I fratelli Graviano”, ammesso alle riunioni della “cupola”, l’organismo che per decenni ha governato Cosa Nostra.

Il boss del trapanese, l’unico non palermitano nella cupola di Riina

Il boss doveva incontrarsi con Totò Riina, il “capo dei capi”, nel giorno dell’arresto di quest’ultimo, il 15 gennaio 1993. Con lui, Giuseppe Graviano, Giovanni Brusca, Giacchino La Barbera, Leoluca Bagarella. “Meno male che non l’hanno seguito Totò, altrimenti ci avrebbero arrestati tutti”, disse quest’ultimo. Sarebbe cambiato il corso della storia. Forse non ci sarebbero state le stragi di via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Forse don Pino Puglisi sarebbe ancora vivo.

Da quel giorno qualcosa sembra però essere cambiato. Riina finì in manette, gli altri no. La mafia passò nelle mani di Bernardo Provenzano, considerato più moderato. Una “garanzia” per molti? Forse. Ciò che si sa è che a Riina saltò una copertura: fu tradito da qualcuno. E di lì a poco lo scontro – durissimo, violento e sanguinoso – tra lo stato e la mafia, terminò. Niente più stragi, niente più attentati: la criminalità tornò agli affari in modo più silenzioso, più prudente, più strisciante.

La non perquisizione del covo di Riina e quella dell’abitazione di Messina Denaro

Quel 15 gennaio 1993, così come nei giorni successivi, il covo di Riina non fu perquisito. Nessuno sa ancora perché. Stavolta, quello di Messina Denaro lo è stato. Stavolta, ricorda ancora Bolzoni, il Raggruppamento operativo speciale, il Ros, che ha condotto l’operazione è agli ordini “di Pasquale Angelosanto, da non confondere con il Ros di trent’anni fa”.

Il giudice Di Matteo ha aggiunto che, in una sentenza della Corte d’Assise di Palermo “c’è scritto che per un certo periodo gli alti funzionari del vecchio Ros avevano coperto Provenzano per interesse nazionale. In modo che potesse consolidare la leadership moderata rispetto all’ala stragista. Insomma, ci sono sempre state coperture istituzionali. E fino a quando non si chiariranno queste e le complicità, allora come ora, non potremo dire di avere vinto».

Salvatore Borsellino: “C’è il sospetto che dietro ci sia ancora una volta un patto tra stato e mafia”

Ciò nonostante, secondo un’intervista concessa a Michele Carlino di Euronews da Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso dalla mafia, “purtroppo c’è ancora il sentore, il sospetto che dietro questa cattura ci sia ancora una volta una trattativa, un patto tra stato e mafia. Che in qualche maniera Matteo Messina Denaro non sia stato preso ma consegnato, a causa delle condizioni di salute e dietro qualche contropartita”.

C’è da chiedersi, poi, cosa farà ora il boss. Farà come Riina e non si pentirà mai, rifiutandosi di fornire ogni tipo di aiuto alla giustizia? Farà come Giuseppe Graviano, che non si è mai pentito, salvo raccontare poi le sue “verità”, qua e là, a distanza di decenni, in alcune aule di tribunale? O deciderà di collaborare con la giustizia come ha fatto Giovanni Brusca, l’uomo che fece saltare in aria Falcone a Capaci? Se lo facesse, potrebbe evitare il 41bis, il carcere duro al quale è già stato sottoposto. Potrebbe contare su eventuali benefici carcerari. Potrebbe, soprattutto, fornire agli inquirenti informazioni fondamentali per il prosieguo delle indagini.

Il soldi di Matteo Messina Denaro, la sua eredità, la figlia Lorenza e l’omertà

Potrebbe spiegare in che modo ha potuto costruire il suo tesoro, valutato in qualcosa come 4 miliardi di euro. Tra negozi, imprese, beni immobiliari, opere d’arte. Perfino pale eoliche. Potrebbe aiutare a scardinare quel sistema di connivenze che permette ai mafiosi di essere “ben visti”, o per lo meno “tollerati”, da una parte della popolazione, perché loro sono quelli che portano lavoro, ricchezza, benessere sul territorio.

Perché certamente, i video circolari sui social network che mostrano l’esultanza di cittadini comuni alla notizia dell’arresto sono incoraggianti. Così come quelle della figlia Lorenza, che sembra rinnegare il padre. Ma continuano a far pensare le parole omertose di alcuni abitanti di Castelvetrano, in provincia di Trapani, dove è nato Messina Denaro, raccolte dalla trasmissione di Raitre “Cartabianca”: “Per me hanno fatto un errore ad arrestarlo: per 30 anni ci hanno mangiato tutti, ora non è più buono questo?”.

Chi sarà il successore di Matteo Messina Denaro a capo di Cosa Nostra?

Anche in questo senso si apre un ulteriore interrogativo: cosa farà ora la mafia? Si cercherà di tornare al passato con una nuova alleanza tra i clan che controllano il territorio? Sono stati fatti alcuni nomi di ricercati che potrebbero prendere il posto di Messina Denaro (Giovanni Motisi detto “il pacchione”,  Giuseppe Auteri detto “vassoio”, Stefano Fidanzati o Sandro Capizzi). Ma non è detto che sia così semplice, oggi, per la mafia scegliere un “successore”. Né è detto che la struttura verticistica della Cosa Nostra degli anni Novanta sia ancora quella attuale.

Mosco Levi Boucault, registra francese autore di numerose pellicole sulla mafia, osserva che “oggi in ogni quartiere di Palermo ci sono famiglie che controllano il loro pezzo di territorio, e sono relativamente indipendenti. Ciascuno fa i suoi affari per conto proprio”. Per sapere quale sarà il futuro di Cosa Nostra occorrerà attendere. Ciò che è certo è che con i Riina, i Graviano, i Brusca, i Bagarella e Messina Denaro è morta una generazione di sanguinari. Ma non è morta la mafia. Così come non sono morte la camorra e la ‘ndrangheta. E per questo non va abbassata la guardia.

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