La satira è attivismo ambientale. Andrea Pennacchi chiude il festival di Cinemambiente

Il finlandese Lynx man vince Cinemambiente. Zug island, invece, il miglior corto. Il premio “Ciak verde” per attori va ad Andrea Pennacchi. LifeGate lo ha intervistato.

La 26esima edizione di Cinemambiente giunge alla conclusione, in una cerimonia di premiazione sotto la Mole di Torino. I premi principali sono tre e riguardano le categorie “miglior documentario”, che va al finlandese Lynx man di Juha Suonpää, il “miglior cortometraggio” che va al canadese Zug island di Nicolas Lachapelle Plamondon e il premio del pubblico, assegnato al documentario francese Le système Total, anatomie d’une multinationale de l’énergie di Jean-Robert Viallet. I film sono visibili gratuitamente online tramite il sito del festival, fino al 18 giugno, sulla piattaforma OpenDDB.

Tra i diversi riconoscimenti, va sicuramente citato il premio “Ciak verde” insignito a quella figura del mondo del cinema e dello spettacolo italiano che più di altri si è distinta nella difesa dell’ambiente e che abbia dedicato la propria capacità comunicativa per sensibilizzare il pubblico sulla gravità dell’attuale crisi ambientale. Il premio è stato assegnato a Andrea Pennacchi. LifeGate ha intervistato l’attore veneto, celebre per i suoi monologhi teatrali (in particolare quelli del personaggio “Pojana”, in onda nella trasmissione televisiva Propaganda Live) prima della proiezione del film del quale è protagonista, “Pluto”, diretto dal regista Renzo Carbonera, film che racconta la storia di un ex-veterano militare alle prese con i suoi deliri intorno alla bomba nucleare.

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Andrea Pennacchi durante la proiezione di “Pluto” a Cinemambiente © Cinemambiente

L’intervista all’attore Andrea Pennacchi

Andrea Pennacchi, parliamo del film “Pluto”. Come è nata la partecipazione a questo lungometraggio? È la prima volta che prende parte a un film incentrato sulle tematiche ambientali?

Sicuramente è la prima volta che partecipo a un film che ha anche lo scopo di affrontare questo tipo di tematiche. La partecipazione non è causale, non ci sono arrivato tramite un provino: io e il regista Renzo Carbonera ci conosciamo da tanti anni, abbiamo sempre collaborato per costruire dei progetti insieme, alcuni sono andati in porto, altri no. Ho recitato già in film suoi, come caratterista, quindi in ruoli minori. Poi un giorno è arrivato con questa sceneggiatura e mi ha detto che ero la persona giusta. In realtà, sono una seconda scelta: prima di me, il regista aveva già girato alcune scene con Rutger Hauer, che poi è mancato. È così che è nato il progetto. C’era bisogno di parlare in inglese e io sono laureato in lingue e ho abitato un po’ all’estero, quindi ho una buona dizione. Sono tra l’altro stato ufficiale missilista, ho provato a fare il pilota, qui si vedono dei missili, insomma, tutti elementi che c’entrano con la mia vita e per questo sono stato “arruolato”. E poi le preoccupazioni espresse nel film sono le nostre, quelle di cui ci occupiamo ogni giorno, soprattutto da quando abbiamo figli.

Ecco, lei ha detto anche in altre interviste che la sua sensibilità ambientale è cresciuta da quando è nata sua figlia. È così?

Sì, prima avevo una consapevolezza un po’ bassa delle tematiche ambientali. Mia figlia è nata nel 2012 e in verità la mia sensibilità è nata un po’ prima: uso la figlia come alibi, ma sicuramente da quando è nata mi sono sempre più reso conto di quanto la situazione ambientale sia drammatica. Va detto che noi ragazzi del ‘69 siamo stati tenuti distanti da queste preoccupazioni per tanto tempo: sembrava che andasse sempre tutto bene. A un certo punto, l’informazione è cambiata e abbiamo capito la realtà delle cose. Finché non è arrivata mia figlia, io avevo un atteggiamento un po’ punk alla questione, invece quando scopri l’amore verso i figli ti accorgi che il futuro non è solo questione di tempo e so che suonerà un po’ stucchevole dirlo, ma si tratta di qualcosa di più grande, di amore verso di loro. E ti accorgi che è più facile sviluppare empatia anche per i figli degli altri, quindi per il futuro di tutta la specie.

È da un po’ di tempo che anche il Pojana, suo celebre personaggio, parla di crisi climatica e del fatto che la crisi diventa davvero reale nel momento in cui tocca gli sghei, i soldi, dell’homo capannonicus. Com’è entrata questa tematica nei dialoghi di Pojana?

Intanto perché sono temi che sento tanto e trovo assurdo che sia una questione di “destra” o “sinistra”: le soluzioni dovrebbero dividere, piuttosto, ma non il problema in sé. E invece c’è stata una rimozione totale del discorso da una certa parte politica. Per cui, nel mio piccolo ho inserito questa punta polemica nei miei monologhi. Il piccolo imprenditore si rende perfettamente conto del problema e non fa niente per nasconderlo: la cosa divertente, in senso satirico, è che il più delle volte la risposta è “mi adatterò, produrrò delle cose diverse, se c’è un clima più tropicale pianterò kiwi”, cose così. Insomma, cambia l’atteggiamento e, quindi, la reazione adattativa più forte arriva proprio da loro. In mancanza di lungimiranza politica, l’unica cosa per un proprietario di capannone è adattarsi a quando questo verrà sommerso.

Satira sui temi ambientali ce n’è poca ma potrebbe essere considerata una forma di attivismo ambientale, perché come sappiamo, a volte, una risata è in grado di far pensare più di mille notizie drammatiche. Cosa ne pensa?

Anche io la penso così. Purtroppo oggi, spesso il dialogo si fa sui social e mi capita talvolta di incrociare commenti negativi verso ciò che dico. Se i commenti negativi sono civili, non mi arrabbio ma inizio un dialogo. Se sono incivili, cosa che sui social succede spesso, mi limito a bloccare. Molti commenti arrivano da una rabbia inconsulta, mal diretta: capisco che nascano dalle frustrazioni della vita, ma non c’è bisogno di citare fonti farlocche per difendere la propria posizione, come chi fa negazionismo climatico. In quei casi non c’è possibilità di dialogo. Tornando al mio lavoro, sto portando nei teatri uno spettacolo sul disastro sulla foresta Vaia. Abbiamo lavorato con il cuore su questo tema: noi teatranti partiamo da un grande dolore per dire alla gente “guardate cosa sta succedendo”. Si può pensare che chi viene a teatro sia più informato di altri ma purtroppo trovo spesso persone che minimizzano cosa sta accadendo nel mondo, sostenendo che queste cose sono sempre successe e che non dipende da noi.
Quel che è certo è che la forma della satira arriva in un’altra maniera, più efficace: se abbiamo riso insieme, c’è più spazio per fare una riflessione ulteriore. Io dico sempre che voi giornalisti siete un po’ come la fanteria d’assalto in questa battaglia, noi comici siamo un po’ la cavalleria. In generale, attraverso la risata fai arrivare un pensiero come un cavallo di troia: faccio ridere ma allo stesso tempo faccio entrare una reference scientifica, il concetto che voglio far passare.

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