Per i Grammy awards, la “world music” non esiste più

I Grammy awards cambiano il nome della categoria fino a oggi denominata “world music” in “global music”: un termine più pertinente, moderno e inclusivo.

Il Grammy award come miglior album di “world music” non esiste più. Al suo posto arriva il Best global music album, che sarà assegnato il prossimo 31 gennaio, durante la 63esima edizione della manifestazione.

La settimana scorsa, infatti, la Recording academy, che organizza i Grammy awards, ha annunciato il cambio di denominazione per il premio che ogni anno viene assegnato al miglior album di artiste e artisti cosiddetti “non occidentali”.

“Mentre continuiamo ad abbracciare una mentalità veramente globale, aggiorniamo il nostro linguaggio per riflettere una categorizzazione più appropriata che cerca di coinvolgere e celebrare l’attuale ambito della musica di tutto il mondo”, così ha spiegato la Recording academy.

La scelta di variare il nome alla categoria è il frutto di numerose discussioni fra artisti, etnomusicologi e linguisti di tutto il mondo e simboleggia un allontanamento dalle connotazioni di colonialismo, folk e “non americano” che la world music implicava, per rappresentare meglio le attuali tendenze di ascolto e l’evoluzione culturale delle diverse comunità.

Le reazioni degli artisti

In una nota che spiega nel dettaglio la scelta del cambio di denominazione, viene riportato il pensiero della cantautrice beninese Angélique Kidjo, l’ultima ad aver ricevuto il premio nella categoria world lo scorso 27 gennaio: “Miriam Makeba mi diceva che l’espressione ‘world music’ era un modo politicamente corretto di chiamare la nostra musica ‘third world music’, mettendoci quindi in una scatola chiusa, da cui era molto difficile emergere. Ora il nuovo nome apre quella scatola, permettendoci di sognare!”.

“La global music è il futuro della musica. Poiché il mondo continua a diventare più interconnesso, la cultura musicale non ha più confini”.

— Michael Brun

Il deejay e produttore haitiano Michael Brun si è detto felice di vedere la Recording academy lavorare per adattarsi a un panorama in evoluzione e celebrare l’eccellenza da tutto il mondo, definendo la scelta un segnale di un tempo in cui le persone creative di tutto il mondo utilizzano i social media e approcci innovativi per superare cliché e stereotipi.

Il termine “world music” e la sua storia

A coniare per primo il termine “world music” (musica del mondo) è stato l’etnomusicologo americano Robert E. Brown negli anni Sessanta. Originalmente la denominazione era destinata esclusivamente all’uso accademico e il genere si identificava con tutte quelle musiche estranee al repertorio colto occidentale.

Sergio Mendes sul palco.
Sergio Mendez, vincitore del Grammy award per il Best world music album nel 1993 con l’album Brasileiro © Vince Bucci/Getty Images

A partire dagli anni Ottanta, il termine è stato via via sempre più utilizzato fino a diventare una categoria commerciale per l’industria musica, più che un genere vero e proprio. Nel giugno 1987 in un pub di Londra, durante un incontro sulla capitalizzazione di quel nuovo tipo di musica, si pose la necessità di trovare un nome collettivo per identificarla, visto che sempre più imprenditori musicali iniziavano a fondare etichette indipendenti per la sua distribuzione. Alla fine fu scelto proprio “world music”.

I Grammy hanno introdotto la categoria Best world music album nel 1992: la definizione, in realtà, comprendeva generi molto diversi tra cui musica classica non occidentale, world beat, world jazz, world pop e musica transculturale. E infatti, negli anni la Recording academy ha assegnando il premio a un gruppo di artisti estremamente eterogeneo, tra cui il batterista dei Grateful dead, Mickey Hart, Ry Cooder, Ravi Shankar, Gilberto Gil, Sergio Mendes , il coro sudafricano Ladysmith black mambazo, Yo-Yo Ma, Gipsy kings, Tinariwen e, più recentemente, Angélique Kidjo.

Chi e perché ha criticato il termine “world music”

In realtà il termine “world music” è stato molto spesso criticato dagli stessi membri dell’industria musicale. David Byrne è uno di questi: nel 1999, l’ex leader dei Talking heads ha scritto un editoriale sul New York times, affermando di odiare quel termine, un modo per attrarre un consumo disonesto.

“È un’etichetta per tutto ciò che non è cantato in inglese o che non rientra nell’universo pop anglo-occidentale (…) È un modo non troppo sottile di riaffermare l’egemonia della cultura pop occidentale. Ghettizza la maggior parte della musica del mondo”, scrisse Byrne già all’epoca.

David Byrne fra i firmatari della lettera aperta per Extinction rebellion.
David Byrne padrino dei Radiohead alla cerimonia per la elezione alla Rock & roll hall of fame © Jamie McCarthy/Getty Images for The rock and roll hall of fame

Negli ultimi anni, sono parecchi gli attori musicali che hanno deciso di non utilizzare più la denominazione. Per esempio, dal luglio 2019, il The guardian inserisce gli articoli di musica proveniente da Paesi non occidentali direttamente nelle categorie di genere come pop, rock o elettronica, mentre il miglior album del mese di musica world è diventato il Global album of the month.

Lo stesso The guardian segnala che anche il festival musicale britannico Womad ha smesso di usare “world music”. “Sappiamo che la world music sta ghettizzando molti artisti”, ha detto il direttore del festival Chris Smith, “Rispettiamo il termine perché è la nostra eredità, ma dobbiamo evolverlo perché la musica si è evoluta”.

Il linguaggio si adegua alla musica che cambia

La modifica del termine “world music” è solo l’ultimo dei cambiamenti effettuati ai Grammy awards. Nel giugno scorso, infatti, la Recording academy ha annunciato che il Miglior album contemporaneo urbano (Best urban contemporary album) sarebbe stato ribattezzato Miglior album r&b progressive (Best progressive r&B album).

Il presidente dell’academy Harvey Mason ha riconosciuto “alcuni sentimenti di disagio” intorno al termine “urban”, come quello di Tyler, the creator, vincitore del premio per il Miglior album rap 2020, che ha affermato: “Non mi piace la parola ‘urban’. Mi sembra solo un modo politicamente corretto per dire la ‘N-word‘ (nigger n.d.r.)”. L’accademia, tuttavia, continua a usare la parola “urban” nel contesto dei premi latini.

candidati ai Grammy 2021 saranno annunciati il ​​24 novembre prossimo.

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