Perché la storia di Keystone XL ti riguarda da vicino

La questione Keystone XL, l’oleodotto che divide gli Stati Uniti dal 2008, non è lontana come può sembrare a una prima impressione. Ci sono diverse ragioni per cui la costruzione di un tubo che trasporta bitume, un petrolio di scarsa qualità, dalle terre canadesi alle coste americane meridionali interessa da vicino anche noi che viviamo

La questione Keystone XL, l’oleodotto che divide gli Stati Uniti dal 2008, non è lontana come può sembrare a una prima impressione. Ci sono diverse ragioni per cui la costruzione di un tubo che trasporta bitume, un petrolio di scarsa qualità, dalle terre canadesi alle coste americane meridionali interessa da vicino anche noi che viviamo nel continente europeo e, in particolare, noi italiani.

 

 

Uno. La prima riguarda, facile a dirsi, i rischi climatici che questo progetto comporta. È noto che il riscaldamento globale è un fenomeno che non conosce confini. La CO2, i gas serra emessi dall’altra parte della Terra hanno effetti negativi, i cambiamenti climatici, anche a migliaia di chilometri di distanza. Così se bruciare carbone in Cina, il combustibile fossile più sporco e pericoloso per il clima, ha effetti sulla riduzione dei ghiacci artici, allo stesso modo estrarre, trasportare e raffinare il bitume canadese può accelerare l’innalzamento del livello dei mari che minaccia le coste italiane, come la laguna di Venezia per citare un luogo a noi caro.

 

Due. Rispetto all’estrazione del petrolio arabo, quello estratto dalle sabbie bituminose causerebbe emissioni superiori del 17 per cento per ogni barile prodotto e, nello specifico, la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL aumenterebbe le emissioni annuali di CO2 degli Stati Uniti di 30 milioni di tonnellate secondo l’organizzazione ambientalista Friends of Earth. Come se d’un tratto venissero buttate per le strade altre 5,6 milioni di auto rispetto a quelle già in circolazione nel mondo. Per non parlare dello spreco d’acqua, usata per l’estrazione. Un bene sempre più prezioso in Italia come nel resto del mondo a causa di un’espansione delle zone aride dovuta a un aumento dei periodi di siccità. Ma c’è un aspetto che rischia di riguardarci ancora più da vicino.

Tre. A settembre 2014 due parlamentari italiani, Michele Piras e Giulio Marcon, in seguito alla segnalazione ricevuta da una rete di organizzazioni ambientaliste americane, hanno chiesto informazioni al ministero dell’Ambiente e al ministero dello Sviluppo economico sulla possibilità che proprio quel bitume estratto nella regione dell’Alberta (Canada) potesse arrivare in Italia, per la precisione in Sardegna, nelle raffinerie di Sarroch di proprietà del gruppo Saras, tra le poche dotate delle tecnologie in grado di raffinare anche il greggio di qualità peggiore. Il bitume canadese sarebbe stato trasportato dalla nave Minerva Gloria che batte bandiera greca.

 

Questo significa che il nostro paese sarebbe potuto diventare direttamente responsabile di una pratica pericolosa per l’ambiente sardo e per il clima globale. Il bitume necessita di un processo di raffinazione più lungo e complesso e questo significa aumentare l’impatto ambientale di una raffineria sul territorio dove si trova. Inoltre richiede un maggior fabbisogno energetico costringendo a un inevitabile incremento delle emissioni di CO2 del nostro paese.

 

raffineria

 

La risposta di Saras. Il gruppo sardo ha risposto all’interpellanza parlamentare dei due onorevoli affermando che la nave Minerva Gloria, arrivata a Sarroch nella prima metà di ottobre, trasportava “un carico di comune petrolio di origine canadese, non di sabbie bituminose”. Un petrolio le cui “caratteristiche chimico-fisiche erano analoghe, ad esempio, alla maggior parte dei grezzi mediorientali”. Per questo, “in termini di emissioni di gas climalteranti, il processo di raffinazione di tale petrolio” sarebbe stato “assolutamente equivalente a quello seguito dagli altri grezzi in tutti gli impianti europei”.

 

Un quadro che non lascia tranquilli visto che il nuovo oleodotto che sfocia sulle coste texane del golfo del Messico ha l’obiettivo preciso di ridurre i tempi di trasporto continentali per fare in modo che il bitume possa salpare più rapidamente oltreoceano. “Per sapere se quanto dice Saras è vero, l’unico strumento è una indagine della magistratura” ha detto Piras. Anche un articolo del Sole 24 Ore lascia la porta aperta alla possibilità che il petrolio da sabbie bituminose possa presto arrivare in Italia visto che “l’Unione europea non sembra avere più nulla da obiettare su questo tipo di greggio”.

 

La questione dell’oleodotto Keystone XL non riguarda solo il Canada o gli Stati Uniti, è un problema che riguarda tutti. Per questo dobbiamo sperare che la decisione del presidente americano Barack Obama di porre il veto nel caso di una approvazione del Congresso americano venga confermata. E fare il tifo per lui in questa sfida.

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