Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,
Slavery Footprint, come calcolare l’impatto che il nostro stile di vita ha sulla schiavitù
Questo strumento consente di capire quanto i nostri acquisti contribuiscono allo sfruttamento di altri esseri umani
Oggi esistono numerosi strumenti per calcolare le emissioni di anidride carbonica che generiamo o l’impatto ambientale che deriva dal nostro stile di vita e dalle nostre azioni. Un sito internet, chiamato Slavery Footprint, è arrivato a calcolare, attraverso una serie di domande, l’impatto che i nostri acquisti hanno sullo sfruttamento dei lavoratori. “Quanti schiavi lavorano per te?”, questa è la domanda con cui si apre il portale, creato per mostrare gli effetti dell’economia consumistica e globalizzata in cui viviamo.
I dati chiaramente non possono essere così precisi, sono piuttosto un ottimo pretesto per comprendere più a fondo come le abitudini di consumo, magari considerate innocue, possono avere un grave impatto sulla vita di molte persone. Prodotti di consumo quotidiano, quali caffè e tè, sono in molti casi ottenuti sfruttando i lavoratori, spesso bambini.
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Come il nostro stile di vita agisce sulla schiavitù
In che tipo di casa vivi, quali alimenti (spezie comprese) consumi, che detergenti utilizzi, come ti vesti. Fornendo informazioni sul proprio stile di vita è possibile avere una stima di quanti schiavi lavorano quotidianamente per te.
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Anche il settore dei cosmetici nasconde lati oscuri, per ottenere la mica, un minerale utilizzato in polvere nella produzione di rossetti e ombretti, vengono sfruttati migliaia di bambini in India per l’estrazione del minerale. Pietre rare e gioielli sono tristemente legati a paesi caratterizzati da guerre civili e corruzione, come la Sierra Leone, dove le condizioni e l’ambiente di lavoro sono tra i più pericolosi al mondo.
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Non possono chiaramente mancare i prodotti tecnologici, ma anche quelli sportivi e l’abbigliamento (sembra che circa 1,4 milioni di bambini siano costretti a lavorare nei campi di cotone dell’Uzbekistan, un numero superiore a quello dei bambini presenti in tutto il sistema scolastico pubblico di New York).
È importante conoscere e riconoscere questi prodotti, per riuscire a contrastare attraverso il proprio potere di acquisto la schiavitù moderna, ancora così diffusa in tutto il globo.
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