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Gli stati di approdo si uniscono per sconfiggere la pesca illegale, non dichiarata e non regolata. Il commento del direttore generale della Fao sullo stato di avanzamento dei lavori.
L’anno scorso, su quasi ogni sei pesci venduti uno era stato catturato illegalmente.
Questo numero è adesso destinato a calare bruscamente, grazie all’Accordo sulle misure dello stato di approdo (Port state measures agreement, Psma, l’acronimo inglese) primo trattato internazionale concepito specificamente per combattere la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.
Nell’ambito di questo nuovo accordo, le parti hanno l’obbligo di garantire che qualsiasi nave da pesca che arrivi in un suo porto, anche solo per il rifornimento di carburante, deve darne comunicazione e sottoporsi a un’ispezione del giornale di bordo, delle licenze, delle attrezzature per la pesca e, per essere sicuri, del reale carico di pescato che trasportano. Le autorità dello stato di approdo s’impegnano a condividere le informazioni sulle violazioni, rendendo così più difficile per i pescatori di frode spostare le loro pratiche altrove.
Il trattato, che è stato adottato dai membri della Fao nel 2009, segna un grande passo avanti, che va oltre l’auto-regolamentazione del settore ittico, le cui attività illecite sottraggono fino a 23 miliardi di dollari l’anno.
Ora che 30 paesi più l’Unione europea hanno formalmente depositato gli strumenti di adesione alla FAO, il trattato è entrato in vigore e una nuova era è iniziata.
Tutti quelli che pescano illegalmente – che non solo fanno profitti illeciti, ma anche mettono a repentaglio gli sforzi per una gestione sostenibile delle risorse marine del pianeta – adesso dovranno affrontare costi di gestione più elevati e il serio rischio di essere scoperti e puniti.
Il trattato oggi si applica solo a quei paesi che lo hanno sottoscritto. Per dare al trattato maggiore forza, e accelerarne sia l’efficacia sia l’impatto, dovranno farne parte più paesi. Quando questo avverrà, ci saranno sempre meno opportunità per le navi di frodo di andare indisturbate da un porto all’altro infischiandosene delle leggi che regolano i livelli di cattura, imposti per proteggere gli stock e i livelli di biodiversità.
Mi congratulo con i paesi che hanno già firmato il trattato: Australia, Barbados, Capo Verde, Cile, Costa Rica, Cuba, Dominica, Unione Europea(come membro dell’organizzazione), Gabon, Grenada, Guinea, Guyana, Islanda, Indonesia, Mauritius, Mozambico, Myanmar, Nuova Zelanda, Norvegia, Oman, Palau, Repubblica di Corea, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent and the Grenadines, Seychelles, Somalia, Sud Africa, Sri Lanka, Sudan, Thailandia, Tonga, Stati Uniti d’America, Uruguay, Vanuatu.
Ma ormai il cammino è avviato e l’adesione è destinata a crescere.
L’accordo rende più difficile introdurre sul mercato pesci catturati in modo illegale, interrompendo un passaggio fondamentale nella complessa catena alimentare dal mare alla tavola.
Alcune navi possono scegliere di navigare oltre e cercare un porto che non aderisce al trattato, comunque una decisione costosa e disincentivante. Peraltro i porti che offrono servizi fuorilegge di questo tipo, certamente non passeranno inosservati. I paesi aderenti al Psma finanzieranno misure di rafforzamento delle capacità per i paesi che ne hanno bisogno — e la Fao sta già offrendo assistenza tecnica e legale — e la tolleranza del comportamento illegale probabilmente farà aumentare l’onere di eventuali inadempienze.
E il rispetto delle norme sarà alla fine inevitabile. Gli operatori del settore ittico a livello globale sfruttano sempre di più le proprie pratiche sostenibili come risorsa di marketing e sono sempre più diffusi sistemi di documentazione delle catture e l‘etichettatura ecologica. Aderire al trattato può migliorare le opportunità commerciali di un paese.
Come punto di svolta nella lotta contro l’illegalità nel settore della pesca, il Psma è un passo concreto per avere un mare in migliore salute, come richiesto dall’obiettivo 14 della nuova Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Alla Fao, siamo convinti che lo sviluppo sostenibile richieda uno sforzo integrato e conti su effetti di rete — che a sua volta può catalizzare una positiva retroazione. I previsti controlli dello stato di approdo, ad esempio, possono indirettamente far venire alla luce altri problemi globali, per esempio l’impiego di lavoro in nero nell’industria della pesca, il commercio illecito di specie minacciate e il non rispetto delle Aree Marine Protette.
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