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Intervista a Nico Acampora, il fondatore di Pizzaut, il progetto di inclusione lavorativa per chi soffre di autismo premiato con l’Ambrogino d’oro.
Quella di Pizzaut è una bella storia soprattutto perché racconta un’idea che ha portato a risultati concreti. Il progetto, nato quattro anni fa dall’intraprendenza di un padre di un bambino autistico, è infatti oggi un esempio virtuoso di quanto volontà e seria progettualità, possano condurre al successo. Pizzaut non è solo una pizzeria gestita da ragazzi autistici, ma un laboratorio sociale ora riconosciuto e premiato anche con il prestigioso Ambrogino d’oro. Ed è solo l’inizio, come ci racconta il suo ideatore, Nico Acampora.
Nico Acampora, come è nata Pizzaut?
L’idea di Pizzaut nasce nel 2017. Ho un figlio autistico, a basso funzionamento, quindi con meno autonomie. Io e mia moglie lo abbiamo scoperto quando Leo aveva 2 anni e mezzo. Una diagnosi del genere cambia la vita completamente: prospettiva, ottica, paure… avere un figlio con disabilità al 100 per cento rende complicate parecchie cose, anche molto semplici, ad esempio andare a trovare gli amici. Leo infatti ha dei comportamenti che definirei originali e ha di conseguenza necessità di spazi in cui sentirsi a suo agio. Abbiamo cominciato così a essere noi a invitare spesso tanti amici a casa a mangiare e facevamo la pizza. Leo la preparava con la mamma e gli piaceva molto: impasto, farina, salsa e lì mi sono detto: “Ma se ci riesce mio figlio che è piccolo, perché non dovrebbero farcela ragazzi autistici più grandi?”. Così ho iniziato a documentarmi e ho scoperto che esistevano degli esempi di ristorazione sociale, soprattutto con ragazzi affetti da sindrome di Down, ma non con ragazzi autistici e quella stessa notte ho svegliato mia moglie con questo proposito: “Stefania, dobbiamo aprire un ristorante con ragazzi autistici!”. Ma non ne sapevo niente.
È stato un iter lungo quello che l’ha portata ad aprire la vostra pizzeria?
Prima di quest’impresa, mi occupavo di tutt’altro, ero un educatore, lavoravo nella progettazione sociale. Dunque ho dovuto imparare tutto. Da subito ho scritto il progetto e schizzato il logo registrando tutto in tribunale; poi ho fatto un post su Facebook chiedendo ad altri genitori con figli autistici di partecipare e di dirmi cosa ne pensassero della mia idea. Tutto è stato sin dall’inizio molto concreto: ottenute le prime adesioni, ho cercato un pizzaiolo per far fare dei corsi ai ragazzi che avevano accettato, li ho frequentati io stesso e ho anche ricevuto le prime critiche. Ricordo perfettamente le parole di una neuropsichiatra che mi definì “padre frustrato che progetta cose irrealizzabili”. Non è stato semplice, ma mi ha sempre motivato moltissimo lo scopo che intendevo raggiungere: in Italia sono 600mila le persone autistiche, pochissime quelle che lavorano – qualche Asperger e autistici a medio o alto funzionamento – dunque è basilare che questi ragazzi abbiano la possibilità di apprendere un mestiere e poi di lavorare.
Ha girato tutta Italia insieme a questi ragazzi e ha fatto fare loro esperienza sul campo, giusto?
Sì, è stato un crescendo di esperienze, sia per loro che per me. Abbiamo creato una squadra: c’è chi prepara la pizza e altri che invece non riescono perché per esempio gli fa impressione toccare la pasta, e quindi fanno i camerieri. Ognuno ha il suo ruolo. Una volta appresa la tecnica, servivano però dei locali dove fare pratica e, sempre utilizzando i social, ho fatto appello ai ristoranti perché ci concedessero spazio per fare delle serate e vendere le nostre pizze. Il primo ad aiutarci ci ha permesso di sfruttare il locale nel suo giorno di chiusura, lasciandoci campo libero. Così ci siamo preparati e ho lanciato l’invito con Facebook per l’evento. Risultato? 600 prenotazioni con soli 150 posti disponibili. Un successo enorme: abbiamo fatto 4 serate di pienone. Da lì in poi non ci siamo mai fermati e grazie a un programma tv il progetto si è diffuso ancora di più, tanto che erano i ristoranti a cercare noi. Ho intrapreso con i ragazzi molti viaggi che ci hanno portato in giro per tutta l’Italia. Questo ha permesso di evidenziare i problemi dei ragazzi nel lavorare nei vari locali, cosa che ci è servita poi per progettare la nostra pizzeria, ed è stato fondamentale anche per raccogliere i fondi necessari alla realizzazione del progetto. Sono stati mesi ed esperienze incredibili per i ragazzi, di grande crescita.
Cos’è accaduto al diffondersi della pandemia?
La Covid-19 ovviamente ci ha frenato, ma non ci ha fermato: non avevamo più locali dove fare le pizze perché erano stati tutti chiusi. Allora ho avuto l’idea di allestire un food truck e di portare la pizza “in giro”. All’inizio è stato un disastro, specie per i ragazzi che hanno dovuto abituarsi a nuovi spazi e modalità. Ma ho comunque insistito e fatto realizzare il truck per andare nel milanese e nel monzese sotto i condomini e i palazzi a fare e vendere le nostre pizze e il riscontro è stato buono. Così abbiamo ampliato i nostri giri e portato il truck fuori dalle aziende e dagli ospedali dove abbiamo regalato pizze ai medici e agli infermieri impegnati nella lotta al virus. Siamo stati anche in Senato, ospiti della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e in piazza a Montecitorio, dove l’ex Premier, Antonio Conte e alcuni suoi ministri hanno assaggiato la pizza dpcm creata appositamente per quell’occasione. Lo scopo è sempre stato quello di sensibilizzare la politica sull’importanza di agevolare l’inserimento lavorativo per le persone autistiche.
Pizzaut è ora aperto, ma altri progetti sono in divenire…
Il primo maggio 2020 Pizzaut ha finalmente aperto: non a caso nel giorno della festa dei lavoratori. Ho scelto attentamente questa data perché l’aspetto più importante del progetto è sempre stato quello di destare attenzione sul nostro mondo. Vogliamo che si parli di autismo in modo diverso, che ci si impegni concretamente per rendere la vita di chi ne soffre più normale possibile. Questo significa anche lavorare. Io ho fatto tutto questo pensando al futuro di mio figlio, anche se paradossalmente ho avuto meno tempo per lui, ma lavorando per Pizzaut mi sono imbattuto anche nel presente di molti ragazzi. Oggi il ristorante è sempre pieno e occorrono anche cinque settimane di anticipo per prenotare un tavolo. Sono tantissimi i miglioramenti riscontrati nei ragazzi che ci lavorano (dieci giovani che hanno tra i 20 e i 26 anni): il ristorante è una brigata e quindi si pranza e cena insieme e alcuni di loro sono riusciti finalmente ad avere degli amici, oltre che un impiego. Ora vorrei aprire un altro ristorante a Monza per aiutare sempre più persone.
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