Diritti umani

Da Mani Tese un premio per smascherare la moda insostenibile

Dopo il successo della prima edizione, Mani Tese lancia il suo secondo Premio per il giornalismo d’inchiesta. Dedicato, quest’anno, al tema della moda insostenibile.

C’è tempo fino al 4 maggio 2020 (termine prorogato rispetto all’originale 23 aprile) per presentare la propria candidatura per il Premio per il giornalismo investigativo e sociale, promosso dall’organizzazione non governativa Mani Tese e dedicato ad indagare l’impatto dell’industria dell’abbigliamento sui diritti umani e sull’ambiente. L’obiettivo è di smascherare un’attività illegale o un’ingiustizia, ma anche una buona pratica particolarmente significativa nel settore. Al vincitore verrà riconosciuto un rimborso spese fino a 10mila euro per la produzione dell’inchiesta, reso possibile anche quest’anno da un finanziamento dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).

A valutare le proposte, come per la prima edizione, sarà una giuria formata da giornalisti di rilievo: Gad Lerner, Gianluigi Nuzzi, Tiziana Ferrario, Eva Giovannini, Francesco Piccinini, Stefania Prandi, Emilio Ciarlo, Margherita Rebuffoni. Per questa edizione due nuovi nomi si aggiungono alla lista: Federica Angeli, sotto scorta per le sue inchieste sulla mafia romana, e Riccardo Iacona, conduttore del programma di inchiesta Presa Diretta. Su proposta di uno dei giurati, il premio sarà consegnato dalla mamma di Nadia Toffa, in memoria della giovane giornalista della trasmissione Le Iene, scomparsa l’anno scorso.

La fast-fashion nel mirino di Mani Tese

Il premio si inserisce nel lavoro che da anni Mani Tese porta avanti per denunciare le ingiustizie del comparto della moda, in particolare della fast-fashion. Un sistema insostenibile, ma purtroppo molto diffuso, in cui sono all’ordine del giorno violazioni di diritti umani, sfruttamento economico, crimini ambientali. Che si fonda su un rapporto di strapotere economico dell’Occidente nei confronti dei Paesi produttori del Sud del mondo. Su filiere globali che nel tempo hanno spostato le responsabilità dai marchi committenti verso i fornitori finali, dalle case di moda internazionali ai lavoratori senza diritti né garanzie, pagati a giornata e a rischio schiavitù, in paesi come Bangladesh, India o Vietnam.

moda mani tese
Un magazzino di abbigliamento. L’associazione Mani Tese premierà un’inchiesta giornalistica sulla moda insostenibile © Peter Macdiarmid/Getty Images

Le criticità sono evidenti: proprio oggi, nell’emergenza causata dalla pandemia di Covid-19 si registrano testimonianze di lavoratori che abbandonano le città indiane in cui lavorano per tornare, con qualsiasi mezzo, nelle zone rurali di origine. È questa la realtà anche dei lavoratori dell’industria della moda: se non lavorano non guadagnano. Senza alcun paracadute sociale, alcuna tutela, alcun diritto. In India il rischio reale è la fame.

Leggi anche: Dall’esodo dei lavoratori migranti ai soprusi da parte della polizia: l’India ai tempi del coronavirus

Giosuè De Salvo, responsabile Advocacy, educazione e campagne di Mani Tese spiega che il settore del tessile offre un terreno favorevole ad innescare il cambiamento, perché ha a che fare con il quotidiano delle persone. Inoltre, essendo tra i comparti più grandi al mondo, anche piccole conquiste possono portare benefici enormi. In questi anni l’associazione ha perorato la causa dei più deboli, cercando di agire a livello internazionale contro lo sfruttamento.

Ma soprattutto creando maggior consapevolezza nei consumatori. Oltre alla mostra interattiva Fashion Experience, realizzata nel 2019 a Milano, è attiva ora l’iniziativa “Cambia Moda!” il cui obiettivo è di sensibilizzare le persone ad acquistare in modo più responsabile, scegliendo la qualità rispetto alla quantità di capi acquistati, privilegiando il rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Per far capire anche ai più giovani che cosa c’è dietro i capi che indossano, Mani Tese offre corsi di educazione alla cittadinanza globale rivolti anche alle scuole.

Perché serve un premio giornalistico di questo tipo

L’investimento sostenuto per organizzare il premio giornalistico è alto ma Mani Tese spiega di essere davvero convinta della bontà del progetto. Soprattutto dopo il successo della prima edizione, che ha portato all’individuazione di un caso molto significativo di spreco e soprattutto all’avviamento di un processo di modifica della norma legislativa che permetteva questa ingiustizia. Secondo De Salvo, il mondo delle Ong e quello del giornalismo hanno molti punti in comune e possono lavorare insieme perfettamente: entrambi rappresentano un “servizio”. Ma devono anche scongiurare il rischio di passare “al servizio” di un sistema insostenibile.

“Le associazioni offrono servizi utili a garantire diritti, sopperire alle mancanze del sistema, laddove ci sono ingiustizie o meccanismi che non funzionano. Ma se si continua a portare avanti queste attività senza mettere in discussione la realtà delle cose e i meccanismi a monte che causano le ingiustizie, allora anche le ong si ritrovano al servizio di un sistema insostenibile. Noi crediamo che la chiave stia nello scardinare questi meccanismi, mettere in discussione il sistema”, riflette De Salvo. Idealmente, quindi, arrivare ad un punto in cui diventerà superfluo il lavoro di organizzazioni come la sua.

Un discorso del tutto analogo vale anche per il giornalismo. “Laddove si racconta il mondo, attraverso le notizie e l’attualità, il giornalismo certamente offre un servizio utile. Ma quando si siede, smette di essere critico e di mettere in discussione quello che sta raccontando, allora diventa giornalismo al servizio del sistema”, conclude De Salvo. Di qui la necessità di un giornalismo investigativo di interesse pubblico, che punti a smascherare attività illecite o prassi, seppur lecite, poco etiche.

Gli sprechi di Amazon al centro dell’inchiesta della prima edizione

È il caso dell’inchiesta finanziata dal premio dell’anno scorso, intitolata “Amazon, uno smaltimento al di sopra di ogni sospetto”, grazie alla quale un team di giornalisti ha individuato un meccanismo che portava il colosso dell’e-commerce a sprechi inaccettabili. Quantità enormi di merce invenduta, ancora in perfetto stato, distrutta anziché rimandata al venditore o donata in beneficienza: lo smaltimento come strada più conveniente. L’ironia amara è che il comportamento di Amazon era assolutamente legale. L’azienda, così come gli altri attori della filiera, non infrangeva alcuna legge ma faceva leva su regole obsolete e una legislazione sull’e-commerce che risale alla fine degli anni  Novanta. Grazie all’inchiesta e all’eco che questa ha avuto sui media nazionali, la Regione Lazio ha recentemente approvato un emendamento ad una legge regionale, proprio con l’obiettivo di favorire “la riduzione degli sprechi legati alla distruzione dei resi danneggiati e dei beni invenduti”.

Allo stesso tempo, davanti alle telecamere di “Presa Diretta”, il capo della direzione generale Rifiuti e inquinamento del ministero dell’Ambiente, Sergio Cristofanelli, si è detto favorevole ad una revisione della legge per ridurre gli sprechi. Ora sta alla società civile, e a Mani Tese in primis, vigilare sui prossimi sviluppi attraverso le azioni di controllo e monitoraggio dell’azione dei poteri pubblici. Assieme ai giornalisti.

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