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“Questo film non parla di buddismo, o più ampiamente di religione, parla della vita prendendo in prestito alcuni elementi della religione buddista”, ha spiegato il regista Kim Ki-duk.
Un monaco bambino apprende, dall’insegnamento del Vecchio
Monaco, il senso della vita e sperimenta la perdita dell’innocenza
quando il gioco si trasforma in crudeltà (Primavera). A 17
anni conosce l’amore e il sesso con l’ingresso di una donna nel
loro piccolo mondo (Estate). A 30, colpevole di omicidio per
gelosia, ritorna al monastero in cerca di pace ed espiazione
(Autunno) e, infine, ormai vecchio, accoglie il figlio che una
donna sconosciuta abbandona sulle scale del monastero (Inverno). Un
monaco bambino e uno vecchio, di nuovo. Il cerchio della vita
ricomincia come l’alternarsi ciclico delle stagioni e l’eremo
continua a essere, per l’eternità, un rifugio per lo
spirito.
Ritratto di gioia, rabbia, dolore e piacere della vita
attraverso le quattro stagioni e attraverso la storia di un monaco
che vive in un tempio immerso nella natura. Attraverso i
cambiamenti nella vita dell’uomo si scopre il significato della
maturità, la crudeltà dell’innocenza, l’ossessione
del desiderio, il dolore nelle intenzioni omicide e infine
l’emancipazione. L’ultimo capolavoro di Kim Ki-duk, acclamato
regista di film come L’isola (Venezia, 1999) e Bad Guy (Berlinale,
2002), dimostra il suo talento eccezionale nel legare storie
emotivamente complesse ad immagini di spiazzante bellezza.
S.R.
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