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Dal Giappone, il cinema di animazione di Hayao Miyazaki propone vere e proprie favole moderne, per adulti e bambini, con messaggi ecologici e riflessioni su globalizzazione e inquinamento planetario.
Chi è stato bambino agli inizi degli anni Ottanta
ricorderà senz’altro la serie a cartoni animati Conan, il
ragazzo del futuro, romantica storia di due ragazzini e di
pochi sopravvissuti a un’ecatombe post-bellica in lotta contro un
manipolo di cattivi che vogliono riprendere il controllo del
pianeta terra. A tutti gli altri basterà sapere che La
città incantata è stato il primo film non
americano a incassare più di 200 milioni di dollari e,
soprattutto, il lungometraggio d’animazione vincitore dell’Orso
d’oro di Berlino nel 2002 e dell’Oscar nel 2003.
Cosa lega queste due opere?
Agli estremi di venticinque anni di storia del cinema d’animazione,
nascondono entrambe la firma di Hayao Miyazaki, sceneggiatore e
regista di capolavori quali Nausicaa nella valle del vento e La
principessa Mononoke, considerato in patria non soltanto un
padre del genere ma anche un grande autore, al punto che Akira
Kurosawa ha affermato: “Credo che apparteniamo entrambi alla stessa
scuola; condividiamo lo stesso rigore e lo stesso gusto per le
storie umane su grande scala. Tuttavia provo un certo fastidio
quando i critici accomunano i nostri lavori. Non si può
sminuire l’importanza dell’opera di Miyazaki paragonandola alla
mia”.
Le creazioni di Miyazaki, così come Galaxy Express
999 di Leiji Matsumoto, Ghost in the shell di Masamune
Shirow, Akira di Katsuhiro Otomo, Metropolis di Rin
Taro, possono essere considerate esemplari di quelle profonde
differenze che separano le produzioni di grande qualità da
quelle dell’industria nipponica dei manga e dell’animazione.
Oltre alla cura per disegno e colonna sonora e allo spessore
conferito ai personaggi, questo tipo di cinema è
contraddistinto dalla presenza di un messaggio ecologico e dalla
forza visiva delle ambientazioni futuristiche o surreali, che
lasciano poco spazio alla morale consolatoria e alla poetica
dell’happy end cui la produzione disneyiana ci ha abituato.
Per questo, il pubblico di riferimento è quello degli
adolescenti e degli adulti, anche se l’universalità delle
tematiche trattate (in particolare in Miyazaki) rende queste
“favole moderne” fruibili anche dai bambini. Vale la pena di
riflettere sul fatto che la cultura giapponese – forse la
società tecnologicamente più avanzata del mondo –
abbia rielaborato le inquietudini e gli interrogativi suscitati dal
processo di globalizzazione e dalla crescita costante
dell’inquinamento planetario in una forma espressiva che nella
tradizione occidentale è associata all’infanzia e al
divertimento.
Olimpia Ellero
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