Dopo 7 anni di inchiesta per favoreggiamento di immigrazione clandestina, tutti prosciolti. Il giudice di Trapani ha emesso sentenza di non luogo a procedere.
Riapre il macello delle torture di Italcarni, ma con un nuovo nome
Dopo solo un anno lo stabilimento di Ghedi, nel quale venivano maltrattati gli animali e lavorata carne infetta, riapre i battenti.
Nell’ottobre del 2015, grazie alle telecamere nascoste fatte installare dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani, la procura di Brescia, i Nas di Cremona e la Guardia forestale hanno avviato un’inchiesta che ha portato al sequestro dell’azienda di macellazione Italcarni di Ghedi. Le immagini rivelarono pratiche terribili a danno degli animali.
Torture e carne putrefatta
Le mucche giungevano spesso ai cancelli dello stabilimento già morte, quelle ancora vive venivano invece sottoposte a quelle che è inevitabile definire torture. I bovini agonizzanti venivano trascinati sul pavimento agganciati a delle catene, presi a bastonate o sollevati di peso con i bracci meccanici dei muletti, talvolta addirittura infilzati. Molti di questi animali sono le cosiddette “mucche a terra”, vecchie mucche da latte ormai prosciugate e destinate al mattatoio. L’atroce trattamento riservato agli animali aveva conseguenze sull’effettiva qualità della carne, in alcuni campioni infatti sono state trovate concentrazioni di batteri fino a 50 volte superiori a quelle consentite dalla legge, tra cui la salmonella. Questa carne veniva poi certificata e messa in vendita, mettendo a repentaglio la salute dei consumatori.
Le condanne
Il macello incriminato fu sottoposto a sequestro e le persone indagate furono sei, il titolare dell’azienda, tre collaboratori e due veterinari dell’Asl, accusati di maltrattamento di animali, adulterazione di carne destinata all’alimentazione umana, falso in atto pubblico, contraffazione dei cibi e smaltimento illecito dei rifiuti. Lo scorso luglio l’accusa ha chiesto la condanna a cinque anni per Gian Antonio Barbi e tre anni e sei mesi per Mario Pavesi, i due veterinari coinvolti. Mentre Federico Osio, l’amministratore di Italcarni (che in un video viene ripreso mentre lega la zampa di una mucca con una catena e poi sale a bordo di un muletto per tirarla giù dal camion), e i tre dipendenti hanno chiesto il patteggiamento. La sentenza, attesa lo scorso ottobre, è slittata e arriverà il 30 gennaio.
Nuovo nome, vecchia gestione
Il processo di primo grado è ancora in corso ma il macello di Ghedi è tornato operativo, però con un nuovo nome, è stata infatti rimossa la vecchia insegna “Italcarni” che evoca spiacevoli ricordi, in favore della nuova denominazione A.D.M carni. Il cambiamento però potrebbe limitarsi a questo provvedimento di facciata, i proprietari infatti sono gli stessi di prima. Manca solo Federico Osio (in attesa di sapere se il giudice accoglierà la sua richiesta di patteggiare una condanna a due anni e sei mesi), poco male, la famiglia Osio è comunque ben rappresentata nella “nuova” società, di cui fanno parte la moglie, Ivonne Cosio, e la madre, Rina Lazzari.
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