Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,
In ricordo di Gino Girolomoni
È difficile parlare di qualcuno che non c’è più, soprattutto quando questo qualcuno è un amico, una persona stimata, per la quale provi un profondo affetto, con cui sai di aver condiviso ideali, sogni, passioni. I ricordi sono molti, si riversano nella mente, riemergono come luci, s’accendono nella memoria. Sono emozionato: la sento la gioia
È difficile parlare di qualcuno che non c’è più, soprattutto quando questo qualcuno è un amico, una persona stimata, per la quale provi un profondo affetto, con cui sai di aver condiviso ideali, sogni, passioni. I ricordi sono molti, si riversano nella mente, riemergono come luci, s’accendono nella memoria. Sono emozionato: la sento la gioia se penso a lui, alla sua energia, alla sua storia, ma purtroppo, non posso nasconderlo, adesso sento anche dispiacere.
Da marzo Gino non c’è più. Quest’uomo ha avuto il coraggio di tornare alla terra, di toccarla, di sentirla e di capirne l’importanza, proprio quando a metà degli anni Sessanta la maggior parte dei contadini scappava da lei per cercare il sogno nel boom economico. Gino ha visto che la terra non era solo “terreno”, base su cui costruire, ma un elemento prezioso e fondamentale, in grado di ricongiungerci alla nostra umiltà, da rispettare, amare e conoscere, da cui imparare e con cui collaborare per avere un sogno. Era un uomo che metteva le mani in ciò che faceva, non a caso nelle fotografie che lo ritraggono spesso accarezza delle spighe di grano. Ma era anche un uomo d’intelletto, capace di attrarre attorno a sé con naturalezza persone e situazioni belle – poeti, scrittori, critici, artisti.
Sapeva vedere altro, sapeva vedere oltre: si è innamorato da giovanissimo del monastero di Montebello, non ha guardato le macerie, ma ha rivolto lo sguardo in su, verso il cielo, ha visto i falchi che volavano e ha colto una possibilità: per le persone e per l’ambiente. In questo passaggio del libro scritto da lui, Ritorna la vita sulle colline, si legge il concetto di forza e potenza di un’idea che trova il suo posto congeniale: “Verso Montebello ormai tutto doveva convergere: il mio lavoro, le mie speranze, i miei amici, i miei gridi, i miei canti, i miei pianti”. Arrivando lì la prima volta ebbi proprio una sensazione di energia fortissima: i colori e i profumi del grano che ci circondava erano intensi, parlavano dell’avventura di Gino, così emozionante, e della sua dedizione, così appassionata: tutto era commovente. Credo che sia un po’ come scriveva Antonio Tabucchi: “Un luogo non è mai solo ‘quel luogo’: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati”. Gino c’è arrivato nel suo luogo e ha saputo portarci le persone: con l’umiltà, lo scambio di idee, il lavoro. Io, con lo yogurt e le mie mucche, e lui, con la pasta e il suo grano, eravamo i primi pionieri del biologico in Italia, carichi di speranza, di amore verso la terra e verso il prossimo. Eravamo giovani, pieni di entusiasmo e sicuri che avremmo contribuito alla costruzione di un mondo migliore.
Abbiamo lavorato insieme, abbiamo avuto modo di scambiarci idee e punti di vista, di crescere e veder crescere le nostre aziende. Ricordo ancora con emozione quei momenti in cui abbiamo parlato, proprio lì, a Montebello: sulla base della mia esperienza, gli ho dato il mio punto di vista per realizzare il sogno in cui credeva. Era aperto all’ascolto e al dialogo, voleva provare e riprovare, mettere in pratica, e intanto vedeva crescere il grano insieme all’entusiasmo e alle soddisfazioni: stava costruendo la sua storia. Dare alla cooperativa il suo nome è stata davvero la scelta giusta: identificare il suo sogno proprio con lui è un vero e proprio gesto di amore e di rispetto, è un modo di seguire le orme di questo grande uomo aperto e lungimirante. È un’occasione per rivivere la sua bellissima storia.
Vedere oggi il suo nome e il suo volto sulle confezioni dei prodotti accende un’altra di quelle luci di cui parlavo all’inizio. È la luce di un’emozione, è la luce di un percorso d’amore per la terra, per i suoi prodotti e per chi sulla terra ci vive. È la luce di un messaggio che entra nelle case delle persone, sulle loro tavole, nella loro cultura. È la luce che c’era sul volto del mio amico Gino, che continua a illuminare dall’alto questo percorso di amore, consapevolezza e rispetto. E la mia commozione aumenta.
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