E se i rifiuti elettronici fossero la soluzione per le materie prime critiche?

L’Italia è a rischio approvvigionamento di materie prime critiche, ma una soluzione viene dall’aumentare il recupero di rifiuti elettrici ed elettronici.

L’Italia è a rischio approvvigionamento di materie prime critiche, essenziali per lo sviluppo di settori ritenuti strategici per l’economia del Paese. La produzione industriale italiana dipende, infatti, per 564 miliardi di euro (pari a circa un terzo del Pil al 2021) dall’importazione di materie prime critiche extra-Ue, per le quali spendiamo 5,2 miliardi l’anno. Uno scenario aggravato anche dall’attuale contesto di conflitto russo-ucraino in quanto l’Italia risulta esposta verso la Russia per materie prime critiche che entrano nella produzione di quasi 107 miliardi di euro, legati alla fornitura di palladio (35 per cento), rodio (33 per cento), platino (28 per cento) e alluminio primario (11 per cento).

Rifiuti elettronici
Rifiuti elettronici ©Ian Waldie/Getty Images

La soluzione è dentro di noi 

La soluzione però, almeno in parte, ce l’avremmo già, e in casa: per esempio basterebbe incrementare il riciclo dei Raee, i Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, dai quali si possono ricavare fino a 15,6 tonnellate di materie prime critiche all’anno. Sì, perché come dice Lorenzo Tavazzi, responsabile scenari e intelligence di The European House – Ambrosetti “i rifiuti elettronici sono una miniera urbana di metalli, una miniera che può consentire di ridurre la dipendenza da materie prime critiche”.

Proprio da uno studio di The European House Ambrosetti, commissionato da Erion, il più importante sistema multi-consortile italiano di responsabilità estesa del produttore per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, provengono dati e considerazioni di cui sopra: dalla mappatura di tutti i settori industriali nei quali tali materie prime sono coinvolte, risulta che ben 26 materie prime critiche su 30 sono indispensabili per l’industria aerospaziale, 24 per quella ad alta intensità energetica, 21 per l’elettronica e l’automotive e 18 per le energie rinnovabili. Un settore, quest’ultimo, che con la transizione ecologica ed energetica è destinato a forti potenziali di crescita della domanda di materie prime critiche, essenziali allo sviluppo dell’industria dell’eolico, del fotovoltaico e della mobilità elettrica.

Un problema tutto europeo

Il problema non è solo italiano, ma dell’intera Unione Europea, dove le materie prime critiche contribuiscono alla generazione di oltre 3 trilioni di euro. Anche perché, come continente, dipendiamo moltissimo da realtà come appunto la Russia, ma soprattutto la Cina, di fatto il primo fornitore di materie prime critiche in Europa (44 per cento del totale) e principale esportatore dell’UE di terre rare (98 per cento del totale): viste le attuali turbolenze geopolitiche proprio in quelle aree, anche in questo settore sembrerebbe giunto il momento di iniziare a svincolarsi per quanto possibile dall’import di materie prime.

 

Nel 2020 sono state prodotte a livello mondiale 55,5 milioni di tonnellate di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, e la previsione di crescita parla di 75 milioni di tonnellate per il 2030: da questi materiali si possono ricavare materie prime critiche. Diventa, quindi, a maggior ragione strategico migliorare il riciclo dei rifiuti tecnologici: questo vale soprattutto in Italia se si considera che nel 2021 solo il 39,4 per cento di questi è stato riciclato correttamente, a fronte di un target europeo da raggiungere del 65 per cento.

Lo stesso vale per pile e accumulatori, per cui il nostro Paese è tra gli ultimi classificati in Europa con il 43,9 per cento. Secondo lo studio, se l’Italia raggiungesse il tasso di riciclo dei best performer europei (70-75 per cento), si potrebbero recuperare 7,6 mila tonnellate di materie prime critiche, pari all’11 per cento di quelle importate dalla Cina nel 2021: non sarebbe sufficiente per rendersi indipendenti, ma non è neanche poco, soprattutto considerando che al contrario, con l’attuale tasso di riciclo, al 2025 non sarebbero recuperati circa 280 mila tonnellate, pari ad una perdita di 15,6 mila tonnellate di materie prime critiche.

Naturalmente a giovarne non sarebbe solo l’economia e la produzione industriale: l’aumento del tasso di riciclo dei Raee genererebbe notevoli benefici ambientali, con una riduzione di quasi un milione di tonnellate di CO2, che si tradurrebbero a loro volta in benefici sociali per la comunità quantificabili in circa 208 milioni di euro.

Il ruolo di Erion e quello della politica 

Certo l’incremento di raccolta e gestione dei Raee non si può ottenere dall’oggi al domani senza interventi urgenti su tre dimensioni:

  • normativa, con l’adeguamento della disciplina di raccolta dei prodotti tecnologici per ampliare i canali di conferimento dei Raee di piccole dimensioni e pile;
  • volumi, con incentivazione di meccanismi di raccolta, sviluppo di “ecopoint” diffusi sul territorio e creazione di meccanismi di controllo a contrasto ai flussi paralleli;
  • impiantistica, con la semplificazione delle procedure autorizzative (in media oggi la realizzazione di un impianto richiede 4,3 anni), così da garantire tempi certi di esecuzione, oltre a un incremento della capillarità dei centri di raccolta, oggi distribuiti territorialmente in modo disomogeneo.

In Italia il grosso del lavoro è svolto da Erion, un sistema multi-consortile italiano di Responsabilità estesa del produttore per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, che da bilancio di sostenibilità nel 2021 ha gestito 290.880 tonnellate di Raee, risparmiando 400 milioni di kWh (il consumo elettrico annuale di una città come Firenze) ed evitando l’emissione di 1,8 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (quanto emesso dall’intero parco auto di Milano in più di due mesi) occupandosi di quasi 15mila punto di prelievo e generando un valore economico stimato in 146,8 milioni di euro.

Ma non può bastare il fatto che, come dice Andrea Fluttero, Presidente di Erion compliance organization “oramai i sistemi di responsabilità estesa dei produttori (introdotta in Italia nel 2020, in recepimento di due delle quattro direttive del Pacchetto economia circolare, per assegnare al produttore la responsabilità della parte finale del ciclo del prodotto, ovvero il suo smaltimento) vivano di vita propria” .

Il direttore generale di Erion WEEE, Giorgio Arienti, spiega infatti che “noi abbiamo la fortuna di fare un lavoro che se fatto bene fa bene al mondo, e la quantità di rifiuti gestiti, il valore sociale di quello che facciamo dimostrano che abbiamo cercato di fare bene il nostro lavoro. Ma abbiamo bisogno della politica: il legislatore deve consentire che le cose positive accadano, deve sostenere la sostenibilità”.

L’Europa ha già iniziato a farlo, agendo da forza propulsiva, al punto che adesso la Commissione, fa sapere l’head of Unit Mattia Pellegrini, “sta lavorando su un atto che spiegherà le strategie nel settore delle materie prime critiche, sottolineando l’importanza di arrivare a una autonomia, o rendendo le attività estrattive ecocompatibili o rafforzando l’attività di riciclo”. Il piano è quello di “una serie di obblighi legislativi, il primo dei quali è stata la proposta di regolamento sulle batterie” al quale ne seguirà presto un’altra sulle vetture elettriche e a idrogeno.

Terre rare
Gli elettrodomestici sono la maggior parte dei Raee ©Uriel Sinai/Getty Images

Ma c’è anche chi propone di applicare la formula dell’ecobonus ai grandi elettrodomestici, come Paolo Lioy, amministratore delegato di Applia Italia, l’associazione dei produttori di apparecchi domestici e professionali. Il ragionamento è semplice: “Il 40 per cento dei rifiuti Raee sono elettrodomestici, e oggi una lavatrice nuova risparmia fino a 200 kwh rispetto a una di dieci anni fa: è necessario incentivare il rinnovo del parco, a condizione di conferire l’elettrodomestico vecchio in modo ufficiale con un consorzio”.
Anche in questo caso, però, serve più che mai l’aiuto della politica.

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