
Laura Conti è stata una pioniera dell’ecologia in Italia. Medico, partigiana e deputata del Pci, è ispirazione dell’ultimo libro di Valeria Fieramonte. Una donna di altri tempi che ha anticipato i problemi del futuro.
Dalle rivolte degli schiavi per superare la crisi climatica, all’economia circolare nella Tokyo settecentesca come alternativa al consumismo, il nuovo libro del filosofo Roman Krznaric scandaglia il passato per migliorare il futuro.
Un miracolo tecnologico ci salverà. Scongiurerà le guerre per l’acqua, l’emergenza climatica, i rischi dell’intelligenza artificiale, la xenofobia dilagante o, alla peggio, ci spedirà su Marte. E se ci sbagliassimo? Roman Krznaric, filosofo sociale britannico tra i più importanti del nostro tempo, ne è convinto: la soluzione siamo noi.
Dopo essersi chiesto come si fa ad essere un buon antenato, nel suo ultimo libro “La storia per un domani possibile”, appena uscito in Italia per Edizioni Ambiente, esplora il potenziale sottovalutato dell’agire solidale. Dieci capitoli avvincenti – uno per ciascuna crisi odierna –, micro saggi da leggere anche separatamente in cui l’autore setaccia l’ultimo millennio alla ricerca di esempi positivi sulla capacità umana di risolvere i problemi grazie a cooperazione, aiuto reciproco e azione collettiva, e distilla consigli utili a ritrovare la speranza e la voglia di partecipare al cambiamento.
C’è differenza tra i problemi attuali e quelli fronteggiati dai nostri antenati?
A prima vista oggi tutto sembra diverso: i nostri predecessori non affrontavano i rischi dell’intelligenza artificiale, della dipendenza dai social media o della manipolazione del genoma umano. Ma molto di ciò che hanno vissuto ci è familiare: inondazioni e siccità, pandemie, sistemi politici che si sgretolano e pressioni migratorie. Anche le sfide ad alta tecnologia, come l’intelligenza artificiale, hanno paralleli storici sorprendenti. Per molti versi, il supersistema globale dell’IA che sta emergendo oggi assomiglia al sistema finanziario globale che ha iniziato a emergere nel Diciassettesimo secolo, quando sono state inventate le prime borse. Non dimentichiamo che il capitalismo finanziario è sfuggito molto rapidamente al nostro controllo.
Cosa stiamo sbagliando nella gestione della permacrisi?
Non impariamo dalla storia! Ho passato gli ultimi quattro anni alla ricerca di esempi positivi da cui possiamo imparare per superare la permacrisi di oggi. Ad esempio, nel libro parlo dell’incredibile economia circolare di Edo – l’attuale Tokyo – nel Giappone del Diciottesimo secolo. A causa della scarsità di risorse preziose come il cotone, i giapponesi riutilizzavano quasi tutto. Così un kimono poteva essere usato finché la stoffa non cominciava a consumarsi, poi veniva trasformato in pigiama, quindi in pannolini, in panno per le pulizie e infine bruciato come combustibile. A Edo vivevano più di un milione di persone all’epoca: era uno dei primi esempi al mondo su larga scala di civiltà ecologica a basso spreco e a basse emissioni di carbonio. Ha molto da insegnarci.
La storia offre una ragione molto chiara per nutrire una speranza radicale: i movimenti dirompenti e gli attivisti possono cambiare il sistema – Roman Krznaric
Come risponde alle critiche di aver selezionato solo gli aspetti degli esempi favorevoli della sua tesi?
Sono orgoglioso di farlo in modo sistematico! Sono diffidente su come la storia sia stata usata e abusata da chi detiene il potere, quindi cerco di essere il più trasparente possibile nella scelta dei casi. Inizio il mio libro identificando dieci grandi crisi che l’umanità deve affrontare in questo secolo, come la crisi climatica e le minacce dell’intelligenza artificiale – tratte dalla letteratura scientifica sul rischio esistenziale – e mi sono chiesto: “Quali periodi o eventi storici potrebbero aiutarci ad affrontare questi problemi in modo più efficace?”. Ho cercato di concentrarmi non solo sugli avvertimenti della storia, ma anche sui periodi in cui abbiamo trovato soluzioni e superato le crisi. E ho cercato di concentrarmi non sulle azioni dei grandi leader, ma su ciò che le persone comuni, in tutto il mondo, sono state in grado di fare per creare un cambiamento nei movimenti sociali e nelle loro comunità.
A chi si rivolge il libro e quali reazioni spera di suscitare?
Non mi rivolgo mai a un pubblico specifico, come quello dei politici o degli imprenditori. In ultima analisi, mi interessa scrivere per i “changemaker”, ovvero per tutti coloro che pensano che il mondo potrebbe e dovrebbe essere diverso da come è oggi. Potrebbe essere chiunque, da un insegnante di scuola a un attivista della comunità, a un poeta o a un buddista impegnato socialmente. In termini di reazione, cerco di incoraggiare un senso di speranza. Mi piace distinguere la speranza dall’ottimismo: l’ottimismo è l’atteggiamento del bicchiere mezzo pieno, secondo cui tutto andrà bene nonostante l’evidenza. Ad essere sincero, non sono ottimista sulle prospettive della nostra specie. Ma sono fiducioso. Per speranza intendo impegnarsi nella visione e nei valori che si hanno, anche se le probabilità di creare un cambiamento sono contro di noi.
Esistono oggi figure “radicali” come quelle citate nel libro? Intendo persone che incarnano la possibilità di un cambiamento.
Sono più interessato al potere dei movimenti e delle comunità. Per esempio, nel capitolo su come superare la nostra dipendenza dai combustibili fossili, mi soffermo sulla grande rivolta degli schiavi della Giamaica del 1831, quando oltre 20mila lavoratori schiavizzati nelle piantagioni di zucchero britanniche si sollevarono contro i loro padroni. Non ci riuscirono, ma scatenarono un’ondata di panico nella classe politica, che giunse alla conclusione che se non avessero concesso l’emancipazione, l’intera colonia sarebbe potuta andare perduta. Ecco perché due anni dopo, nel 1833, ci fu la legge sull’abolizione della schiavitù. Gli attivisti ecologici di oggi, come Extinction Rebellion, Ende Gelande e Ultima Generazione, sono eredi di questa tradizione radicale, spesso infrangendo le regole – e talvolta la legge – per creare un cambiamento quando tutte le altre strade sono bloccate.
Nelle ultime pagine del libro elenca cinque ragioni per continuare a sperare e agire perseguendo il bene comune. È come se servisse un “click mentale”…
Trovo molto utili due piccole parole: ‘come se’. Dobbiamo sempre agire come se il cambiamento fosse possibile. Coloro che hanno affrontato il colonialismo britannico in India probabilmente pensavano che sarebbe stato quasi impossibile rovesciare questo enorme potere imperiale – ma hanno agito come se fosse possibile. È così che trasformiamo la speranza radicale in azione.
Dopo questo sforzo di immaginazione storica, rivolta al passato, guardiamo al futuro: dove vorrebbe essere tra vent’anni?
Purtroppo ho una terribile dipendenza dalla scrittura di libri! Quindi probabilmente – spero – sarò ancora seduto dove sono ora, nel mio studio in giardino a Oxford, alle prese con il modo in cui affrontare le crisi del 2045, mentre guardo i due bellissimi frassini fuori dalla finestra. Mi auguro solo che siano ancora lì.
Krznaric non è un barricadièro. Preferisce di gran lunga trascorrere giornate tranquille circondato dai libri, anziché sedersi a terra e bloccare la strada di fronte al Parlamento di Londra con la figlia adolescente, insieme a una folla di manifestanti esasperati dall’immobilismo del governo di fronte alla crisi climatica. Eppure l’ha fatto. È consapevole del disagio che le proteste arrecano ai pendolari, ma ancor più teme la furia delle generazioni future quando ci chiederanno conto della nostra inazione di fronte al collasso. Se i nostri antenati hanno imparato a fare le cose in modo diverso, forse possiamo riuscirci anche noi. Già questa è una buona ragione per continuare a sperare.
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