Stefano Mancuso, coprire di alberi le città è l’azione più coraggiosa che la politica possa fare

Nel libro Fitopolis, la città vivente, il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso descrive come le piante ci possano salvare dai cambiamenti climatici e cosa possiamo imparare da loro.

“In un oliveto vicino dove vivo ci sono due olivi che si sono appoggiati l’uno all’altro. Nel corso dei secoli devono avere avuto delle vicissitudini, soprattutto uno dei due. Credo che abbia avuto un cedimento nella parte centrale del tronco e piano piano ha iniziato a cedere fino ad appoggiarsi a un olivo che stava lì accanto. Nel corso dei decenni, questo appoggio, è diventato qualcosa di molto saldo tanto da provocare un innesto naturale. Le due piante si sono innestate le une con le altre. Evidentemente sono passati ancora altri decenni e il primo albero che si era abbassato ha avuto un cedimento totale. Osservandolo si vede chiaramente che non è più collegato alla radice, eppure continua a vivere tranquillo perché è perfettamente sostenuto ed è diventato parte integrante dell’altro albero. È difficile anche parlare di mutuo appoggio ormai, perché quello che è iniziato con il mutuo appoggio di uno per l’altro, è diventata la fusione di due vite che si sono trasformate in una vita sola”. È questa la risposta che il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso ci regala per spiegarci cosa sia, in natura, il mutuo appoggio, uno dei temi cardine del suo nuovo libro Fitopolis, la città vivente, edito da Laterza.

libro stefano mancuso
Il libro di Stefano Mancuso © Laterza

Nelle pagine che il neurobiologo vegetale riesce come sempre a trasformare in brevi capitoli di narrativa, ci sono decine di esempi e storie che ci fanno capire quanto il destino delle città dipenda da come noi guardiamo la natura, visto che ormai l’abbiamo rimossa dal nostro sguardo. Il mutuo appoggio è solo uno dei modelli che la società umana potrebbe prendere in prestito dal mondo naturale per capire come costruire, meglio, le città. Ma per mettere in atto questi modelli, scrive Mancuso nel suo libro, ci vuole coraggio.

Sembra che ci sia una mancanza di coraggio anche nel riconoscere l’autorevolezza scientifica delle soluzioni che voi ricercatori date rispetto al problema ambientale. Una miopia inspiegabile e pericolosa.
Se pensiamo a quello che sta accadendo all’umanità, noi viviamo e vivremo sempre più in un pianeta finito in cui le risorse scarseggiano e non sono sufficienti a poter sostenere il nostro ritmo di consumo. L’altro problema che noi non teniamo mai in considerazione è che oltre ad aumentare le emissioni di anidride carbonica, abbiamo tagliato qualcosa come tra i mille e i duemila miliardi di alberi che, invece, assorbono l’anidride carbonica e quindi sono fondamentali. Le piante, ma soprattutto gli alberi perché hanno tante foglie, assorbono tanta anidride carbonica quindi la soluzione è evidente ed è una sola, già praticabile da ora, ed è coprire il nostro Pianeta di alberi.

Ma se la soluzione è già a disposizione, cosa o chi si aspetta a metterla in pratica?
Altro paradosso dell’umanità, i tecnologi dicono ‘inventeremo qualcosa per risolvere il problema’ e io dico inventatelo in fretta, sbrigatevi! Devono essere veloci e avere un bilancio positivo perché mentre piantare un albero è cosa buona e giusta, spesso anche solo realizzare una di queste tecnologie ha risvolti negativi che noi non consideriamo, pensiamo solo ai rifiuti generati per inventarle. Quando si tratta di dire costruiamo una città su Marte, nessuno si scandalizza, ma se dico piantiamo mille miliardi di alberi allora questa idea diventa folle.

Eppure, esempi di forestazione urbana sparsi per il mondo esistono da decenni. In Fitopolis, la città vivente lei cita la città di Curitiba in Brasile e il suo sindaco visionario Jamie Lerner che negli anni ‘70 da un giorno all’altro rese pedonabile un intero quartiere ormai prigioniero delle macchine, piantando centinaia di alberi, installando panchine e aggiungendo piante in fiore ogni volta che cittadini indispettiti le rubavano. Oggi Curitiba vince premi per la sostenibilità ed è un modello nel mondo.
La maggior parte dell’umanità vive nelle città e le città sono luoghi molto più caldi rispetto al resto del pianeta, stiamo parlando proprio di dati misurati, si parla di almeno tre gradi in più. Questo fa sì che durante l’estate ci siano ondate di calore sempre più lunghe e importanti che hanno un risvolto pratico sulla vita delle persone perché le persone muoiono molto più velocemente di prima. Quindi le amministrazioni delle città dovrebbero ovviamente preoccuparsi principalmente dei cittadini e della loro salute e quindi abbassare le temperature delle città. Come si fa? Ogni tanto appaiono delle soluzioni, come Bill Gates che propone di mandare nell’atmosfera delle polveri che abbassano l’irraggiamento solare del 3-4-5 per cento del Pianeta, ovviamente sono soluzioni di persone che non hanno vagamente idea di che cosa sia la vita e di quali siano le complessità degli ecosistemi. Perché è vero che magari le polveri abbasseranno l’irraggiamento solare ma le conseguenze sono assolutamente imprevedibili e non mi sento di consigliarlo come esperimento! L’unica soluzione che riesce davvero ad abbassare la temperatura in una città è coprirla di alberi. Perché se gli alberi solo in parte limitano l’irraggiamento stando all’ombra, in parte significativa fanno l’effetto di un condizionatore d’aria. Se messi nelle posizioni giuste e nelle quantità giuste riescono ad abbassare la temperatura di diversi gradi, anche 5-6 gradi in meno, che cambiano totalmente la prospettiva di una città.

Non a caso lei parla di boschi cittadini e di vie degli alberi. Non è un’esagerazione, per salvarci le nostre città dovrebbero diventare questo?
Serve buon senso e, di nuovo, coraggio. Quando non c’è più spazio bisogna chiedersi come lo si è utilizzato. Si vedrà che la maggior parte è occupata dai palazzi che non si possono toccare ma poi c’è un trenta per cento che è costituito da strade impermeabili, asfaltate che sono il regno delle macchine. È davvero necessario nel 2024 che il trenta per cento di una città sia dedicato a un trasporto automobilistico e sia vietato il passaggio delle persone? Questa è una questione paradossale! Noi dovremmo avere il coraggio, una visione che ci faccia chiudere una parte significativa delle nostre strade, spianarle, togliere l’asfalto e mettere dei fiumi di alberi. Ma quello che bisogna fare è qualcosa di ancor più ambizioso. Quando guardiamo le foto delle nostre piazze, esempio piazza Duomo a Milano o Piazza Plebiscito a Napoli, Piazza Pitti a Firenze, Piazza del Popolo a Roma solo trenta o quarant’anni fa erano parcheggi a cielo aperto, una distesa di auto. Oggi guardando quelle foto ci sembra veramente di vedere dei resti di un passato barbarico in cui eravamo obnubilati dalla passione per le macchine tanto da distruggere le nostre città, eppure stiamo parlando di qualche anno fa.

Allora nella stessa maniera se noi cominciassimo a chiudere le nostre strade, tra qualche anno nessuno se ne accorgerebbe più e sarebbe normale vivere nelle vie degli alberi!

Gli alberi assorbono tanta anidride carbonica © iStock

Dovremmo avere il coraggio, una visione che ci faccia chiudere una parte significativa delle nostre strade, spianarle, togliere l’asfalto e mettere dei fiumi di alberi.

C’è una città in Italia che ha cominciato a costruire le vie degli alberi?
Che io sappia no. Non solo in Italia, direi nel mondo. Le vie degli alberi richiedono una volontà della cittadinanza e una volontà politica.

Il motivo qual è secondo lei? C’è un lavoro di educazione civica e culturale da fare?
L’educazione oggi, quando viene citata, viene quasi derisa come una cosa che non si può realizzare. Ma perché io dico? Il nostro popolo, l’Italia era un popolo di analfabeti nel secolo scorso, oggi abbiamo fatto grandi progressi. Certo che si può educare, anche molto velocemente! Dobbiamo far capire che i problemi di cui stiamo parlando colpiscono la sfera di ciascuno di noi, non sono diversi dai problemi economici e sociali. I problemi ambientali sono il principale problema sociale e saranno il principale problema economico e colpiranno ognuno di noi in maniera diretta e immediata. Ancora oggi la questione ambientale in Italia interessa una quantità marginale di persone, anche dei ragazzi e dei giovani. Non è vero che loro sono coinvolti quanto serve, dovrebbero essere tutti ad avere questo come priorità fondamentale. Stiamo parlando della loro vita! Ma la tendenza è sempre not in my backyard. Se arrivano nel tuo quartiere e ti dicono che chiudono la strada per fare una via degli alberi ci sono delle barricate. Questo succede perché non c’è conoscenza, se ci fosse consapevolezza questo non succederebbe.

Lei ci sta ospitando nella sede di Pnat, Project Nature, dove ha fondato questo think tank composto da designer e scienziati vegetali che adattano alla progettazione di design le strategie ispirate al mondo vegetale. Sono le Nature based solutions, il messaggio è: guardiamo come si comportano le piante e replichiamo le loro soluzioni nei nostri ambienti, corretto?
C’è questa idea insita nella popolazione che sarà la tecnologia a salvarci e rendere un futuro radioso. Ma cos’è questa tecnologia? Tutte le soluzioni che progettiamo qui dentro in Pnat sono soluzioni basate sulla natura ma secondo me sono altamente tecnologiche. La tecnologia è anche l’utilizzo della natura, la biologia è una enorme e meravigliosa miniera di soluzioni biologiche e il non vederlo è legato alla banalità del nostro approccio al reale. Esiste una biologia urbana, un’evoluzione urbana, esiste la possibilità di studiare e misurare l’incredibile numero di soluzioni prodotte dalla natura in miliardi di anni di evoluzione per i nostri bisogni. Non è una soluzione né utopica né banale. In realtà è proprio una possibilità: qui noi facciamo brevetti! Sono brevetti prodotti studiando la natura e li utilizziamo per migliorare la vita delle persone, come per esempio migliorare la qualità dell’aria nei nostri edifici.

Lei da anni divulga le soluzioni che ci ha spiegato e che abbiamo capito essere applicabili sin da subito. Si tratta di salvare il nostro Pianeta, è un’urgenza. Ci tolga una curiosità, un ministro l’ha mai contattata?
Qualche volta è accaduto, i vari ministri che si sono succeduti mi hanno chiesto dei suggerimenti secondo la mia visione, che questo poi si sia rivelato nei fatti è tutt’altra storia.

Dal 2021, su impulso della Presidenza del Consiglio dei ministri, lei e Stefano Boeri siete rispettivamente direttore scientifico e presidente della Fondazione per il futuro delle città. Sembra una buona opportunità.
La Fondazione si occupa di trovare le soluzioni per le città del futuro che sono le città di oggi per rispondere con soluzioni naturali al problema del cambiamento climatico. È un centro di ricerca molto innovativo dove sociologia, botanica e architettura, economia e ingegneria dei trasporti collaborano per trovare soluzioni. Non c’è una disciplina scientifica che può rimanere fuori per studiare e migliorare il nostro habitat. Noi ci auguriamo che queste soluzioni siano prese dalla politica e rese realtà. Purtroppo, abbiamo l’idea che chi fa ricerca sia qualcosa di astratto e invece la ricerca è quanto di più pratico esista e se vogliamo davvero cambiare il mondo dobbiamo investire sulla ricerca.

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