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Torna Rompiscatole, la classifica di Greenpeace sulla sostenibilità del tonno in scatola
A due anni dall’ultima valutazione, Greenpeace stila la nuova classifica sulla sostenibilità del tonno in scatola venduto in Italia, scoprendo che la maggior parte dei marchi ha fatto passi concreti. Ma molto resta ancora da fare.
Quanto è sostenibile il tonno conservato che troviamo sui banchi del supermercato? Cosa stanno facendo i produttori per evitare la pesca distruttiva? Verso chi deve orientarsi il consumatore quando fa la spesa?
Rompiscatole, la classifica di Greenpeace appena pubblicata, la quarta, risponde a tutte queste domande offrendo una fotografia molto chiara del settore. Il rapporto, effettuato su undici marchi che coprono circa l’80 per cento del mercato italiano, ha valutato le politiche di acquisto, trasparenza e adozione di precisi criteri di sostenibilità ambientale e sociale.
Dal monitoraggio emerge che le aziende seriamente impegnate nella riduzione dell’impatto negativo sugli stock ittici ci sono, e salgono di posizione nella classifica, mentre chi non mantiene le promesse, finisce in coda alla lista. Per la prima volta da quando l’associazione pubblica il rapporto, un marchio conquista la fascia verde: si tratta di ASdoMAR, che ha intrapreso azioni concrete per inscatolare tonno pescato con tecniche sostenibili, come la pesca a canna, usata nel 30 per cento delle sue produzioni. A ruota, nella fascia arancione, seguono Esselunga, Conad e Rio Mare, leader del mercato italiano, che rimane in quarta posizione e dalla quale Greenpeace si aspetta di più, perché dimostra di voler mantenere gli impegni presi di usare solo tonno sostenibile entro il 2017 ma al momento non ha ancora fatto abbastanza. In Austria e Svizzera, Rio Mare offre solo prodotti sostenibili.
“Solo cinque anni fa, quando abbiamo iniziato questa campagna, quasi nessuna azienda aveva adottato criteri di sostenibilità nella scelta del tonno da mettere nelle scatolette e la maggior parte si trovava in fascia rossa. Oggi invece quasi tutti i marchi che abbiamo analizzato hanno politiche di acquisto scritte nero su bianco. Non solo: il settore ha fatto passi avanti in tema di trasparenza in etichetta e sostenibilità. Questo dimostra che le scelte dei consumatori possono davvero influenzare le decisioni delle aziende e garantire un futuro al mare”, ha precisato Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Da tempo Greenpeace denuncia la mancanza di informazioni in etichetta, che impedisce ai consumatori di fare scelte responsabili. Dall’anno prossimo, però, dieci delle undici aziende presenti in classifica indicheranno sulle scatolette il nome della specie e l’area di pesca, anche in assenza di un obbligo di legge. Altri marchi, inoltre, amplieranno la propria offerta immettendo sul mercato prodotti sostenibili, provenienti dalla pesca a canna: sei marchi ne offriranno uno, tra cui Carrefour che, fa notare l’associazione, inizia a prendere in considerazione i problemi della pesca al tonno.
Greenpeace accende i riflettori in particolare su Mareblu, declassato in fascia rossa. “Nonostante le promesse di bandire i metodi di pesca distruttivi, usando solo tonno da pesca a canna o senza FAD entro il 2016, allo stato attuale solo lo 0,2 per cento dei prodotti di Mareblu è pescato in modo sostenibile. Nella maggior parte delle sue scatolette finisce tonno pescato con reti a circuizione usate con sistemi di aggregazione per pesci (FAD), che svuotano i nostri mari uccidendo ogni anno migliaia di giovani esemplari di tonno (“baby-tuna”) e numerosi animali marini, tra cui squali e tartarughe, spesso di specie in pericolo. Come se non bastasse, Thai Union, l’azienda che dal 2010 è proprietaria del marchio Mareblu, è stata recentemente coinvolta in uno scandalo internazionale che riguarda la violazione dei diritti umani lungo le sue filiere di produzione. Per convincere Mareblu a cambiare, lanciamo oggi una petizione online”, scrive in una nota l’associazione ambientalista.
In Italia si consumano ogni anno circa 144 mila tonnellate di tonno, per un giro d’affari che supera il miliardo di euro. Stime recenti indicano che il tonno in scatola è presente nelle case di oltre il 90 per cento degli italiani. I risultati della classifica Rompiscatole lasciano comunque ben sperare per il futuro dei mari, perché dimostrano che le richieste dei consumatori, sempre più attenti a queste tematiche, stanno spostando il mercato italiano del tonno in scatola verso una pesca più sostenibile.
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