L’associazione dei consumatori, analizzando otto campioni di riso basmati, ha rilevato la presenza di pesticidi in circa la metà dei campioni, e aflatossine in cinque di essi.
Sei anni dopo il precedente dossier, Eat-Lancet estende il concetto di dieta per la salute planetaria anche ai temi di giustizia sociale e accessibilità del cibo.
Dalla qualità della nostra dieta dipende la nostra salute e, in modo sempre più evidente, anche quella del Pianeta. A sei anni dall’edizione del primo rapporto, la Commissione Eat-Lancet è tornata con un nuovo documento che propone la Planetary health diet (Phd), ovvero la dieta per la salute planetaria, come guida scientifica e universale per un’alimentazione sana, equa e rispettosa dei limiti ecologici del nostro Pianeta.
Gli esperti della Commissione, provenienti da 35 Paesi e sei continenti, evidenziano come oltre il 30 per cento delle malattie croniche globali – da quelle cardiovascolari al diabete – sia direttamente correlato a regimi alimentari sbilanciati. Un cambiamento globale delle abitudini alimentari in linea con la dieta planetaria potrebbe prevenire fino a 15 milioni di morti premature ogni anno, più di un quarto dei decessi totali a livello mondiale.
Il rapporto, inoltre, lancia un allarme sulla crescente crisi climatica e ambientale. I sistemi alimentari, essendo responsabili di circa il 30 per cento delle emissioni globali di gas serra, sono oggi tra i principali fattori di superamento dei cosiddetti “limiti planetari”. La sfida è chiara: fornire cibo sano per una popolazione in crescita – stimata in 9,6 miliardi entro il 2050 – senza oltrepassare le soglie ecologiche critiche riguardanti per esempio clima, biodiversità, acqua, suolo, nuovi inquinanti come microplastiche e pesticidi, e mantenendo così la stabilità, la resilienza e lo sviluppo dell’ambiente terrestre.
La dieta per la salute planetaria è una transizione verso un modello di alimentazione prevalentemente vegetale, che tutela la salute umana e quella del Pianeta. Si basa principalmente su cereali integrali, frutta, verdura e tuberi, legumi, semi e frutta secca. Prevede un consumo moderato di latticini, pesce e pollame, e quantità molto ridotte di carne rossa, zuccheri e grassi saturi. Gli alimenti non devono essere processati o devono esserlo minimamente.
Per raggiungere la sostenibilità globale, la Commissione stima che la produzione di legumi, rispetto al 2020, debba aumentare fino al 187 per cento entro il 2050, quella di verdura debba aumentare di circa la metà, mentre la produzione animale debba diminuire di circa un terzo. In questo modo si potrebbero ridurre di oltre la metà le emissioni annuali di gas serra derivanti dai sistemi alimentari rispetto alla situazione attuale.
Rimodellare i sistemi alimentari potrebbe generare un ritorno economico di 5 mila miliardi di dollari all’anno attraverso una migliore salute, il ripristino degli ecosistemi e la resilienza climatica, ovvero più di dieci volte i 200-500 miliardi di dollari di investimenti necessari per la transizione.
Un punto centrale del nuovo rapporto riguarda la giustizia sociale. Il documento sottolinea profonde disuguaglianze a livello mondiale: meno dell’1 per cento della popolazione vive in uno “spazio sicuro e giusto” in termini di dieta, il 30 per cento più ricco della popolazione è responsabile di quasi il 70 per cento degli impatti ambientali legati al cibo, circa 3,7 miliardi di persone non possono permettersi un’alimentazione sana. Inoltre, quasi un terzo (32 per cento) dei lavoratori dei sistemi alimentari guadagna meno di un salario dignitoso. Per questo motivo, la Commissione insiste sul fatto che la transizione alimentare debba essere giusta, accessibile ed economicamente sostenibile per tutti, non solo un’opzione per i Paesi ad alto reddito.
Il rapporto delinea otto potenziali soluzioni volte a promuovere obiettivi di salute, ambiente e giustizia sociale, supportate da azioni concrete e che coinvolgono governi, imprese e società civile:
La dieta per la salute planetaria non è un modello uniforme, ma è un quadro di riferimento globale che ogni Paese può adattare alle proprie tradizioni e disponibilità, garantendo a tutti di vivere in uno “spazio sicuro e giusto” dove siano garantite la salute, l’equità e la sostenibilità.
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