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Una delle peggiori situazioni umanitarie al mondo. Il terremoto costringe la Siria ad affrontare un’altra crisi e Avsi si occupa di sostegno e cure.
La guerra, la pandemia di Covid-19, il colera e ora il terremoto. A 12 anni dall’inizio del conflitto in Siria sembra non esserci pace per il popolo siriano. Una crisi dentro la crisi, una delle peggiori situazioni umanitarie al mondo. A fine febbraio un team dell’ong Avsi è partito dal Libano per verificare, a meno di un mese dal terremoto, i bisogni non solo materiali, ma anche psicologici e sociali delle persone sopravvissute ad Aleppo, città a poco più di cento chilometri dall’epicentro del sisma del 6 febbraio scorso.
Il team ha raggiunto Aleppo da Damasco in auto. Dal finestrino l’orrore della guerra. Case abbandonate, strade deserte, un paese da cui milioni di siriani sono scappati e non sono rientrati. Ad Aleppo molti degli edifici, delle strade e dei servizi faticosamente ricostruiti sono, ancora una volta, distrutti. Ad Aleppo ora non si vive, si sopravvive. Senza elettricità, costi altissimi, potere d’acquisto sempre più basso. I giovani vorrebbero scappare, ma non sanno come fare. Gli adulti conservano l’amore per la propria terra, ma non hanno più neanche la forza di sperare di risollevarsi un’altra volta. “Finalmente ero riuscito a riabilitare la mia casa danneggiata dalla guerra – ci spiega un uomo che incontriamo in una via della città – in un minuto, la fatica di anni, è crollata. Ora vivo in una tenda per strada, ho 65 anni e non ho alcuna idea di come potrò trovare i soldi, il coraggio e la voglia di ricominciare”.
Cure ai feriti, sostegno economico, distribuzione di beni di prima necessità, riabilitazione di case: sono questi i primi aiuti messi in campo da Avsi grazie a una campagna di raccolta fondi tutt’ora in corso. Della stessa importanza e urgenza è il sostegno psicosociale, molte persone si trovano a rivivere uno stress da trauma che, prima si affronta, meno ferite lascia. Per poter fare un’analisi dei bisogni psicologici più importanti bisogna parlare con la gente, ascoltare le loro storie o aiutarle a trovare le parole per raccontare la paura, il dolore, l’ansia che toglie il sonno. Tra le persone che il team Avsi ha incontrato le sorelle Nanur e Natalie, ricoverate presso l’ospedale Saint Louis di Aleppo. La notte del terremoto Nanur, 29 anni, sconvolta dal panico, è uscita di casa dicendo alla sorella Natalie, 30 anni, di venire con lei. Natalie l’ha seguita, soprattutto perché aveva paura di lasciar uscire Nanur da sola. Durante la corsa una parte dell’edificio è caduta addosso a loro ed entrambe rischiano di non poter più camminare. I genitori e il fratello delle ragazze, rimasti a casa, sono fortunatamente illesi.
Quando siamo entrati nella stanza di ospedale dove sono ricoverate entrambe le ragazze, le abbiamo trovate immobili in due letti vicini, piangevano, senza potersi vedere, alzare. Piangevano per il dolore ma anche per la paura. Nanur si stava preparando per il matrimonio, nel letto di ospedale pensava solo al senso di colpa nei confronti della sorella “Se non l’avessi chiamata lei non si sarebbe ferita”. In queste situazioni trovare le parole giuste non è facile. Il contatto e il linguaggio non verbale aiutano. Abbiamo cercato di dare dignità al loro dolore, di rassicurarle sul fatto che fosse normale sentirsi così e che manifestare le loro emozioni fosse il primo passo per prendersi cura del loro benessere psicologico. Ogni giorno le assistenti sociali di Avsi vanno a trovarle e hanno segnalato la loro situazione al servizio di sostegno psicosociale attivato (con una linea telefonica dedicata) da un consorzio di ong in collaborazione con le istituzioni locali.
A meno di 24 ore dal terremoto tra Turchia e Siria Avsi ha potuto fornire immediatamente soccorso ai feriti attraverso questo l’ospedale Saint Louis ad Aleppo e a un dispensario di Latakia. Entrambe le strutture sono parte del progetto “Siria. Ospedali aperti” dalla Nunziatura Apostolica a Damasco, patrocinato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e sostenuto dal 2017 da migliaia di donatori (privati, aziende, fondazioni, istituzioni) in particolare dalla Conferenza episcopale italiana (sia attraverso l’8×1000 sia con contributi diretti).
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