Opinione

Perché Israele ha attaccato la Striscia di Gaza, uccidendo 44 persone

L’operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza ha provocato 44 morti, inclusi 15 bambini. I feriti sono 360 e le case distrutte oltre 1.600.

Domenica 7 agosto alle ore 23:30 locali è entrato in vigore il cessate il fuoco, mediato dall’Egitto, che ha posto momentaneamente fine all’operazione Breaking dawn, alba nascente, con cui l’aviazione israeliana ha bombardato per tre giorni la striscia di Gaza. Ad oggi il bilancio delle vittime ammonta a 45 morti – tra cui 16 bambini – più di 360 feriti, più di 1.600 residenze distrutte e un incalcolabile numero di sfollati. Dal lato israeliano, sono rimasti lievemente feriti tre cittadini. 

Da dove nasce l’operazione di Israele nella Striscia di Gaza

Il 2 agosto l’esercito israeliano ha arrestato a Jenin Bassam al-Saadi, un alto dirigente della Palestinian islamic jihad (Pij) in Cisgiordania, in un raid che ha ucciso diversi giovani palestinesi. Il movimento armato ha da subito minacciato rappresaglie nei confronti di Israele, ma in realtà nei giorni successivi non aveva reagito: né la Pij, né dell’organizzazione Hamas intendono trascinare Gaza nell’ennesima offensiva militare. 

Le forze israeliane hanno militarizzato ulteriormente il confine con Gaza: sono state inviate truppe al confine, bloccate le vie di accesso alla Striscia, chiuse le vie di comunicazione, si riduce l’approvvigionamento di elettricità, ma soprattutto comincia una campagna di propaganda indirizzata ai cittadini che vivono nella porzione meridionale di Israele, a cui viene imposto il coprifuoco. Come ha raccontato il giornalista israeliano di Haaretz Gideon Levy ad Al Jazeera, la popolazione è stata allarmata pur non sapendo cosa stesse succedendo nell’area. 

I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza
I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza © Mohammed Dahman/Getty Images

Seppur non ci sia stata alcuna azione militare proveniente da Gaza, il 5 agosto l’aviazione israeliana ha iniziato a bombardare varie zone della Striscia, dal campo profughi di Jabalia nel nord, a quello di Rafah, nel sud, al confine con l’Egitto, nonostante la condanna da parte delle Nazioni Unite. Dopo tre giorni di assedio, gli ospedali della Striscia si sono ritrovati senza forniture mediche ed elettricità per soccorrere la popolazione. In risposta, la Pij ha lanciato centinaia di razzi verso Israele – la quasi totalità bloccati dal sistema Iron Dome, lo scudo anti-missile d’Israele – e tre cittadini israeliani sono rimasti lievemente feriti.

Le motivazioni politiche dell’operazione Breaking dawn sono da ricercare in due questioni all’ordine del giorno: da una parte, la volontà di reprimere i gruppi di resistenza palestinesi e la politica interna israeliana.

L’attenzione israeliana si è spostata da Jenin a Gaza

L’obiettivo dell’offensiva su Gaza non è stato infatti neutralizzare target di Hamas, ben radicati nell’area, ma colpire la Pij, presente principalmente in Cisgiordania. Da qui l’impressione che la guerra ai movimenti, armati e non, di resistenza palestinesi si sia spostata da Jenin a Gaza. La settimana scorsa il già citato arresto di al-Saadi; lo scorso aprile, un’incursione israeliana nel campo di Jenin ha provocato la morte di un palestinese e il ferimento di altri tredici. Più tardi, nello stesso mese, un’altra operazione ha ucciso un adolescente palestinese e ne ha feriti altri tre. L’11 maggio, poi, la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh è stata uccisa mentre copriva gli eventi sul campo, suscitando la condanna di gran parte della comunità internazionale.

Ma gli attacchi non si sono fermati qui: a giugno, circa 30 veicoli militari israeliani hanno fatto irruzione nel campo e i soldati hanno circondato un’auto nella parte orientale della città, aprendo il fuoco contro i quattro uomini all’interno. Tre sono morti e il quarto è rimasto gravemente ferito. Le operazioni militari di Israele a Jenin permettono di minare il controllo della sicurezza e la credibilità dell’Autorità palestinese agli occhi della sua stessa popolazione, poiché la leadership di Fatah non riesce a proteggere i cittadini più vulnerabili. 

I bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza
Un cratere provocato dalle bombe dell’aviazione israeliana nella Striscia di Gaza ©
Mohammed Dahman/ Getty Images

Le numerose operazioni hanno fatto temere un’invasione israeliana su larga scala del campo profughi di Jenin. Invece, Israele ha deciso di attaccare Gaza, soprattutto per la condizione geografica della zona: un’area di 365 chilometri quadrati in cui vivono segregate più di 2 milioni di persone senza via di uscita.

La nuova campagna elettorale israeliana

Un altro tassello necessario per comprendere la scelta di Tel Aviv di avviare questa offensiva lo troviamo nella politica interna israeliana. Infatti, qualche settimana fa, il governo di Naftali Bennett è caduto, portando il paese alle urne per la quinta volta in tre anni e mezzo. Al suo posto, alla guida dell’esecutivo ad interim, c’è il ministro degli Esteri Yair Lapid, espressione del partito di centrosinistra Yesh Atid.

Secondo gli ultimi sondaggi, l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu è in vantaggio nei sondaggi, e questo avrebbe portato Lapid ad organizzare in tempi rapidi l’offensiva su Gaza. Consapevoli di come la popolazione israeliana senta la necessità di avere un uomo forte al potere, che protegga la nazione, ogni qual volta si innesca una crisi di governo, il premier in carica ha deciso di attaccare i palestinesi. Come accadde, ad esempio, nel maggio del 2021, quando Netanyahu ordinò i bombardamenti sulla Striscia in seguito alla crisi post elezioniInsomma, come spesso accade, da decenni, la campagna elettorale israeliana si fa sulla pelle dei palestinesi sotto occupazione.

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