Suicidi nelle carceri, il 2022 è stato l’anno più nero di sempre

Sono stati 84 i suicidi nelle carceri italiane nel 2022, e più di duecento le morti in totale: una cifra che evidenzia i problemi del sistema carcerario.

  • Nel 2022 si sono verificati 84 suicidi nelle carceri italiane, mai così tanti.
  • Si ripropone il problema del sovraffollamento: ci sono 9mila detenuti in più rispetto ai posti a disposizione.
  • Pressoché assenti anche i percorsi di reinserimento e di sostegno psicologico.

Giuseppe Battaglia aveva 45 anni ed era rinchiuso nel carcere di Vibo Valentia. Aldo Latifaj di anni ne aveva appena 20, ed era in custodia a Pavia. Sono rispettivamente il primo e l’ultimo delle 84 persone che nel corso del 2022 si sono tolte la vita all’interno di un istituto penitenziario italiano. Una cifra che sale a 203 contando anche le morti di detenuti avvenute in carcere (o in ospedale) per malattie, overdose o per cause ancora da accertare. Sono i numeri che ancora una volta testimoniano la drammatica situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano: una situazione fatta di sovraffollamento, condizioni igieniche precarie, tensioni sempre più forti, condizioni di vita dure tanto per i detenuti che per chi, nelle carceri, ci lavora.

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Le carceri italiane, già sovraffollate, rischiano il collasso © Piero Cruciatti/Afp/Getty Images

Mai, a partire dal 2000, anno in cui sono iniziate le rilevazioni, si era registrato un numero così alto di suicidi, né di morti per altri motivi nelle carceri, nemmeno nei primi due anni dell’era Covid contraddistinti da ulteriori problemi e privazioni, come lo stop forzato alle visite dei familiari per motivi di sicurezza, che aveva portato anche a diverse forme di protesta da parte dei detenuti: nel 2020 infatti i suicidi erano stati 61 per 154 morti in totale, nel 2021 si era scesi a 58 suicidi e 149 vittime totali.

Verso una nuova procedura di infrazione? 

Limitandoci ai sucidi, nel corso dell’anno passato un detenuto ogni 670 presenti si è ucciso. Il precedente primato negativo era del 2009, quando in totale furono 72. Ma all’epoca i detenuti presenti erano oltre 61mila, 5mila in più di oggi: era l’inizio del periodo che portò poi l’Italia alla condanna della Corte Europea dei Diritti Umani per violazione dell‘articolo 3 della Convenzione Europea, per trattamento inumano e degradante. Per il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, nei primi anni dello scorso decennio “alcune iniziative parlamentari furono prese. Non vedere negli 84 suicidi di quest’anno un segnale altrettanto preoccupante delle condizioni in cui versano le carceri del paese è ingiustificabile”.

Il sovraffollamento, ricorda Antigone, dopo la deflazione delle presenze a seguito della pandemia, sta tornando a livelli preoccupanti. I detenuti sono quasi 57mila, a fronte di 51mila posti regolamentari, anche se di quelli conteggiati circa 4mila sono indisponibili per motivi infrastrutturali: ad oggi dunque ci sono nelle carceri italiane circa 9mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare.  Delle 99 carceri visitate nel corso del 2022 dall’Osservatorio di Antigone, nel 39 per cento degli istituti sono state trovate celle dove il parametro minimo dei 3 mq di superficie calpestabile a testa non era rispettato. “Entrare anche solo pochi minuti in una cella dove non c’è neanche questo spazio minimo è un’esperienza claustrofobica – sottolinea Gonnella -. Specie laddove le celle vengono condivise da 5-6 persone. Viverci quotidianamente rende la detenzione ulteriormente gravosa”. Gravosa anche a fronte del fatto che nel 44 per cento delle carceri Antigone ha rilevato celle senza acqua calda, nel 56 per cento celle senza doccia (che sarebbero dovute non esistere più dal 2005), nel 10 per cento c’erano celle in cui non funzionava il riscaldamento, e in ben 6 istituti (9 per cento) c’erano celle in cui il wc non era in un ambiente separato dal resto della cella da una porta.

La mancanza di un percorso di reinserimento

Ma non è finita qui: secondo l’associazione che si occupa dei diritti delle persone detenute, sono insufficienti le opportunità lavorative, di studio, di svolgimento di attività, ovvero tutti quei fattori fondamentali nel percorso di reinserimento sociale delle persone detenute. Solamente 7 detenuti su cento partecipano a corsi di formazione professionale e tre su dieci a corsi scolastici. Lo stato di salute dei detenuti è anch’esso un problema che va preso in seria considerazione. La pandemia ha avuto un impatto drammatico sulla salute mentale di tutti. Il riconoscimento di ciò, attraverso la previsione del bonus psicologico, rende questo fatto evidente.

 

Chi entra in carcere, oggi, è ancora più fragile di quanto non avvenisse in passato. Eppure, proprio in carcere, la tutela della salute mentale non ha subito interventi incrementali. Ulteriore problema è quello che riguarda il personale. Se per quanto riguarda la polizia penitenziaria ci sono, in media, 1,8 detenuti per ogni agente, il dato dei funzionari giuridico-pedagogici (educatori) è preoccupante, con un operatore per 93 detenuti, mentre solo il 57 per cento degli istituti aveva un “proprio” direttore, incaricato a tempo pieno.

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