Diritti umani

L’incubo dell’oleodotto nel cuore dell’Africa tra Uganda e Tanzania

I governi di Uganda e Tanzania hanno firmato un accordo con le compagnie petrolifere per la costruzione di un enorme oleodotto che avrebbe conseguenze ambientali e sociali drastiche.

Lo scorso 11 aprile i governi dell’Uganda e della Tanzania hanno firmato una serie di accordi con la compagnia petrolifera francese Total e la China national offshore oil Corporation (Cnooc), per costruire un gigantesco oleodotto riscaldato che trasporterà il petrolio greggio dall’Uganda occidentale a Tanga, sulla costa tanzaniana dell’oceano Indiano per poi essere spedito nei mercati internazionali.

L’accordo, del valore di 3,5 miliardi di dollari (2,9 miliardi di euro), apre la strada all’avvio della costruzione dell’East African crude oil project pipeline (Eacop) contro il quale lottano da anni diverse organizzazioni ambientaliste internazionali e della società civile ugandese, anche attraverso la campagna #StopEACOP.

Oil spill in the Niger Delta in Africa
Una fuoriuscita di petrolio in Africa © Milieudefensie/Flickr

Le conseguenze ambientali e sociali dell’oleodotto Eacop

La mastodontica infrastruttura infatti potrebbe avere un impatto ambientale e sociale devastante. L’Eacop partendo dal parco nazionale delle cascate Murchison attraverserà diverse riserve naturali con forti rischi per la biodiversità e la sopravvivenza di alcune specie di animali rare, attraverserà 230 fiumi e costeggerà bacini idrici cruciali come il lago Alberto e il lago Vittoria (il più grande d’Africa) con alti rischi di inquinamento in caso di perdite e per la sua realizzazione sarà necessario lo spostamento di almeno 12mila famiglie di varie comunità che potrebbe creare tensioni etniche.

Per non parlare del fatto che secondo le ong far partire questo progetto significa alimentare la distruzione del pianeta. Tutto quel carburante, una volta bruciato, produrrà emissioni paragonabili a quelle della Danimarca secondo diverse stime. I rapporti è le denunce non mancano come quella dell’ong Les amis de la terre che ha incentrato la sua campagna contro la Total. Ma anche l’ African institute for energy governance (Afiego) ha espresso diversi dubbi e esortato la sospensione del piano.

Nonostante la direzione del progetto Eacop abbia assicurato che tutte le comunità interessate dal progetto verranno indennizzate prima dell’inizio della costruzione e la Total abbia assicurato di aver realizzato approfonditi studi di fattibilità per individuare il percorso meno impattante ecologicamente e socialmente, gli attivisti ambientali non demordono. Ben 38 movimenti della società civile ugandesi e tanzaniani hanno scritto una lettera di protesta ai governi pochi giorni dopo la firma, mentre qualche settimana prima più di 260 organizzazioni africane e internazionali hanno inviato una lettera aperta a 25 banche commerciali esortandole a non finanziare la costruzione dell’oleodotto tentando di tagliarne i fondi. Alcune come Barclays, Credit Suisse e la sudafricana Standard Bank si sono tirate indietro.

Cos’è l’Eacop e perché lo si vuole costruire?

Questo periodo di incertezza economica mondiale non sarebbe proprio il momento giusto per lanciare un progetto simile, visto che la pandemia ha fatto crollare la domanda e i prezzi degli idrocarburi. Tuttavia l’industria petrolchimica, è sempre alla ricerca di nuovi giacimenti per sostituire quelli esauriti. E le due riserve petrolifere scoperte tra l’Uganda e Rdc, sono al momento tra le più grandi ed economiche da sfruttare a disposizione.

Il petrolio greggio dell’Uganda è altamente viscoso, il che significa che deve essere riscaldato a 50° per rimanere abbastanza liquido da fluire. Lungo ben a 1.445 chilometri con una tubazione di 61 centimetri di diametro per lo più interrata e un corridoio di sicurezza largo almeno 30 metri con più di 80 stazioni di controllo lungo il percorso, l’Eacop diventerebbe dunque l’oleodotto per petrolio greggio riscaldato elettricamente più lungo del mondo e la sua costruzione a questo punto dovrebbe iniziare quest’anno come annunciato dalle compagnie che hanno già aperto gare d’appalto.

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