All’1:30 circa (ora locale) del 26 marzo, una nave mercantile ha urtato il ponte Francis Scott Key di Baltimora, facendolo crollare.
Tatuarsi come cura
Si percepisce una dimensione catartica del dolore e un rapporto di confidenza fra cliente e tatuatore che può diventare una sorta di confessore e avere funzione terapeutica.
Da un’intervista con Claudio Pittan.
Sostiene di avere un approccio stile giapponese, dove ci si mette
al servizio del cliente… ma ammette anche di preferire dare
consigli e si aspetta di essere ascoltato, dal momento che i suoi
migliori lavori sono venuti dal proprio rapporto di scambio fra lui
e il cliente.
Dipingere la gente ha svantaggi palesi: artistici perché non
si sa che fine farà il tuo lavoro e chi lo potrà
apprezzare, e anche economici, dal momento che, rispetto ai
dipinti, il tatuaggio non può essere quotato oltre una certa
cifra, malgrado la bravura e la fama che può aver raggiunto
l’autore.
Ma è certo che, rispetto alla tela le persone sono vive, ci
si può comunicare, ti parlano, ci puoi collaborare, le puoi
sondare, e dal dialogo possono emergere motivazioni e significati,
anche inconsci, utili per la realizzazione del tatuaggio.
Dal rapporto con le persone nascono anche utili relazioni, dalla
frequentazione continuata e prolungata (nel caso di lavori di
grandi dimensioni ad esempio) si crea un rapporto di confidenza che
spesso spinge i pazienti ad aprirsi, instaurando una relazione che
si potrebbe azzardare a definire terapeutica.
Esempi di persone che sono arrivate a tatuarsi in momenti di crisi
e che, grazie alle sedute di tatuaggio, ne sono poi uscite, sono
abbastanza comuni ad un tatuatore esperto.
Il dolore è parte delle concause, ma non è
determinante, a monte c’è qualcosa di più: il fatto
stesso di abbandonarsi nelle mani del tatuatore, crea una
situazione di rilassatezza corporea che è preludio al
lasciarsi andare anche a livello psichico.
Il lasciarsi andare, il mettersi nelle mani, ha anche un forte
potere di influenza simbolica, che è accentuato dall’essere
simbolico in sé del tatuaggio, i quali, spesso, si fanno in
momenti particolari, di crisi o di gioia, quasi a volere fermare,
bloccare nel tempo il periodo in questione o al contrario per
superarlo.
Anche quando è fatto per moda, per sola estetica, quando
sembrerebbe solo superficialità (di pelle e di significato),
la decisione di tatuarsi è la punta di un iceberg, nasconde
motivazioni incosce, profonde, anche perché, si sa, è
per tutta la vita, non ce né si può dimenticare ed
evoca così il suo carattere iniziatico di un tempo.
C’è chi pensa serva una scusa per tatuarsi e si inventa un
significato simbolico, spesso inutilmente, dal momento che la
decisione di farlo è già, di per se stessa,
sufficientemente simbolica e nasconde un motivo più profondo
della scusa che saremmo in grado di inventarci.
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