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Un altro passo a favore dell’industria dei combustibili fossili è stato messo a segno da Trump. Il governo americano ha messo all’asta un’area enorme di acque federali nel Golfo del Messico, senza tenere in considerazione i rischi per l’ambiente, già messo a dura prova da gravi incidenti e non ultimo dal disastro della BP Deepwater
Un altro passo a favore dell’industria dei combustibili fossili è stato messo a segno da Trump. Il governo americano ha messo all’asta un’area enorme di acque federali nel Golfo del Messico, senza tenere in considerazione i rischi per l’ambiente, già messo a dura prova da gravi incidenti e non ultimo dal disastro della BP Deepwater Horizon. 312mila chilometri quadrati (4,4 milioni di campi da calcio per dare l’idea) che le aziende petrolifere e del gas possono conquistarsi e perforare alla ricerca di combustibili fossili da bruciare.
Nonostante diverse analisi abbiano dimostrato che oramai le rinnovabili siano più convenientie creino più posti di lavororispetto alle fonti fossili, l’amministrazione americana continua a investire in nuove trivellazioni. Nel Golfo del Messico, le compagnie petrolifere hanno già creato oltre 52 mila pozzi e installato più di 7 mila piattaforme. Di queste, una buona parte è inattiva anche se continua a riversare in mare diverse quantità di rifiuti – come una recente inchiesta del New York Times ha rilevato – con buona pace dei contribuenti americani che continuano a pagare per i costi delle pulizie e la disattivazione delle vecchie infrastrutture di trivellazione.
President #Trump‘s plan for offshore drilling threatens our nation’s vibrant coastal economies. https://t.co/Az47erRykb pic.twitter.com/fM4RloBtDu
— Oceana (@Oceana) March 24, 2018
Le fuoriuscite di petrolio e lo sversamento in mare dei rifiuti prodotti dall’estrazione sono una parte di routine delle trivellazioni offshore. Il Center for Biological Diversity di Tucson, in Arizona, sulla base dei dati di settore, ha calcolato che lo sfruttamento della superficie offshore messa all’asta dall’amministrazione Trump potrebbe comportare circa 2.700 fuoriuscite di petrolio che riverserebbero nel Golfo oltre 63,2 milioni di litri di petrolio. Nel conto non sono naturalmente inclusi sversamenti che potrebbero derivare da disastri come quello avvenuto alla Deepwater Horizon nel 2010, in cui hanno perso la vita 11 lavoratori oltre alle migliaia di animali marini. Una situazione ambientale che, pur in via di miglioramento, è a tutt’oggi molto delicata e ancora non completamente ristabilita anche per colpa di altri incidenti avvenuti nell’area.
“Trump sta svendendo i nostri oceani, le comunità costiere e la vita marina all’industria petrolifera”, ha detto Kristen Monsell, direttore legale del programma per gli oceani del Center for Biological Diversity. “Balene, delfini e frutti di mare del Golfo stanno già vivendo nelle fuoriuscite di petrolio e nelle acque reflue del settore: più perforazioni e meno regolamentazione renderanno il prossimo disastro di Deepwater Horizon solo una questione di tempo”. Non si tratta infatti solo di aver concesso alle industrie del petrolio nuove aree per le trivellazioni; l’amministrazione Trump ha avuto la malaugurata idea di alleggerire le regolamentazioni in tema di sicurezza a cui le aziende dovrebbero attenersi, riducendo le royalties che le società dell’oil&gas devono riconoscere al governo ed espandendo di fatto la possibilità di trivellazioni offshore in ogni oceano del paese.
Nel febbraio scorso, il Center for Biological Diversity aveva già citato in giudizio l’amministrazione Trump per non aver valutato gli effetti negativi sulla fauna selvaggia dello scarico di acque reflue provenienti dall’estrazione del petrolio nel Golfo. Uno studio federale condotto nell’ambito della risoluzione di una causa che ha coinvolto lo stesso Centro ha rilevato che oltre 30 milioni di mammiferi marini nel Golfo sarebbero stati danneggiati dall’esplorazione sismica per la ricerca di petrolio e gas. Analisi che non sembrano preoccupare il governo federale che autorizza lo scarico in mare dei prodotti chimici utilizzati per il fracking e altri scarti di lavorazione, a prescindere dal danno arrecato alla fauna selvatica: nel solo 2014 – sulla base di documenti federali – sono stati scaricati nel Golfo oltre 75 miliardi di litri di acque reflue petrolifere. Sostanze chimiche tossiche che possono uccidere o danneggiare diverse specie marine, inclusi i mammiferi e i pesci marini, e che entrano di fatto nella catena alimentare umana. “Trump sta passando le redini delle acque del Golfo alle compagnie petrolifere senza alcun riguardo per le conseguenze devastanti – ha detto Monsell –. Questo è un cattivo affare per le persone e il Pianeta”.
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