Cop28

Cosa significa “unabated”, la parola al centro dei negoziati alla Cop28

Il termine “unabated” è spesso associato alle fonti fossili. Anche nei documenti sul tavolo dei negoziati alla Cop28 di Dubai. Cosa significa esattamente?

“Unabated”. Una buona parte dei negoziati attualmente in corso alla ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 di Dubai, ruota attorno a questa parola inglese. Un vocabolo che sta diventando cruciale per le sorti del Pianeta. Ma cosa vuol dire, precisamente? E perché può risultare così importante?

Perché “unabated” è al centro del dibattito sulle fossili alla Cop28

Nella seconda bozza di decisione finale della Cop28, sono presenti numerose opzioni possibili in riferimento alle fonti fossili. Come noto, infatti, la scienza ha spiegato da tempo che, per limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, occorre smettere al più presto di bruciare le riserve esistenti di carbone, petrolio e gas. E lasciare sottoterra tutto quanto non sia stato già estratto.

centrali a carbone in Cina
Una centrale a carbone nella provincia di Qinghai, in Cina © China Photos/Getty Images

I negoziati, da questo punto di vista, sono particolarmente difficili. Innanzitutto perché numerosi governi dipendono ancora fortemente dalle fonti fossili per le loro centrali di produzione di energia, per i trasporti, per il funzionamento delle industrie pesanti o ancora per i sistemi di riscaldamento delle abitazioni. Inoltre, in gioco ci sono enormi interessi economici: lo dimostra la presenza imponente di lobbisti del settore alla Cop28 di Dubai.

Non c’è una definizione univoca della parola “unabated”

Proprio per questo, alcune delegazioni di paesi carboniferi o petroliferi insistono sulla possibilità di accettare un piano di uscita dalle fonti fossili (phase out) solo a patto di limitarlo proprio a quelle “unabated”. Si tratta di tutte quelle infrastrutture che sfruttano carbone, petrolio e gas ma che sono prive di sistemi di cattura della CO2 emessa. In altre parole, quelle centrali o industrie che non hanno installato dei dispositivi che permettono di recuperare il biossido di carbonio prodotto prima che questo venga disperso nell’atmosfera terrestre, alimentando così l’effetto serra.

Così, nel testo, figurano le locuzioni unabated fossil fuels, ovvero le fonti fossili prive di tali sistemi, così come unabated coal power, con riferimento specifico alle centrali a carbone. il problema, però, secondo gli esperti è legato proprio al primo vocabolo: non esiste, di fatto, una definizione univoca di cosa significhi. “Per termini come ‘unabated’ – ha confermato Lisa Fischer, analista del think tank E3G – non abbiamo a disposizione significati chiari per ora.

Cosa ha detto l’Ipcc sugli impianti “abated”

Sappiamo che, in inglese, “abated” indica generalmente proprio i sistemi di cattura delle emissioni al fine di evitare che vengano disperse. Ad aiutare può essere una nota presente a piedi pagina all’interno dell’ultimo rapporto pubblicato dal Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc), nella quale si indica, come combustibili fossili “unabated”, “quelli non sottoposti ad interventi che permettono di ridurre considerevolmente le emissioni di gas ad effetto serra”. Se però nelle intenzioni dell’Ipcc c’è certamente la volontà di considerare stringente l’avverbio “considerevolmente”, è facile immaginare che una simile definizione possa invece essere “interpretata” da molti proprio vantaggio.

Il rischio, insomma, è che questo termine sia funzionale agli interessi di chi vuole annacquare l’azione climatica globale. E ciò anche se si volessero considerare “abated” delle centrali che fossero affiancate da impianti di carbon capture (Ccs): una tecnologia considerata ancora agli albori e che, tuttavia, viene magnificata dall’industria fossile e dalle nazioni produttrici di carbone, petrolio e gas poiché potrebbe garantire loro la prosecuzione dei business.

Nel mondo solo 35 impianti di carbon capture, una goccia nel mare

La realtà è che lo stesso Ipcc ha sottolineato come il Ccs possa rappresentare una piccolissima parte dello sforzo necessario centrare gli obiettivi climatici. La transizione ecologica, ed in particolare energetica, rimane dunque imprescindibile. D’altra parte, nel 2022 esistevano soltanto 35 impianti in tutto il mondo di cattura e stoccaggio della CO2. Grazie ad essi è stato possibile assorbire solamente 45 milioni di tonnellate di CO2, secondo quanto riportato dall’Agenzia internazionale per l’energia. Sapendo che, come ammesso dallo stesso Sultan al-Jaber, presidente della Cop28, per rimanere al di sotto della soglia degli 1,5 gradi, bisognerebbe ridurre le emissioni mondiali di 22 miliardi di tonnellate nel corso dei prossimi sette anni.

unabated coal
Un impianto di cattura e stoccaggio della CO2 © Climeworks

Per questo i sistemi di cattura della CO2, sia essa effettuata al momento dell’emissione così come ex post, rappresentano ad oggi, di fatto, un’illusione. “E una tattica diversiva”, taglia corto Fischer. Anche perché l’azione climatica necessita, oggettivamente, di un’accelerazione repentina. Non certo di decisioni indebolite, interpretabili o diluite nel tempo.

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