Dopo una settimana di negoziati alla Cop28 di Dubai, ad emergere dalle bozze dei documenti ufficiali sono soprattutto le divisioni tra i governi sul clima.
La ventottesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop28), ospitata a Dubai dagli Emirati Arabi Uniti è giunta a metà strada. Tempo, dunque, di un primo bilancio provvisorio. Che appare, oggettivamente, deludente. Ecco quali sono le promesse avanzate nella prima settimana della conferenza, nonché lo stato dell’arte dei negoziati in corso.
Gli annunci effettuati finora alla Cop28 e lo stato dell’arte dei negoziati
Il fondo per le perdite e i danni (loss and damage)
La stragrande maggioranza degli annunci fin qui giunti dalla Cop28 e all’insegna della volontarietà e delle promesse. Nulla di obbligatorio dunque, o pochissimo. E da verificare sul tempo il mantenimento degli impegni. A cominciare dal primo obiettivo annunciato, ovvero quello di creare un fondo per indennizzare i paesi più vulnerabili di fronte ai cambiamenti climatici per le perdite e i danni subiti (loss and damage).
Come noto, infatti, si tratta di una decisione che era stata già annunciata alla precedente Cop27 di Sharm el-Sheikh, nel 2022, e che a Dubai è stata soltanto confermata. Restano inoltre molti dubbi sul funzionamento del fondo. Innanzitutto, esso sarà gestito, perlomeno inizialmente, dalla Banca mondiale: una scelta che era stata osteggiata con forza dai paesi del sud del mondo. Per loro, infatti, Banca mondiale è sinonimo di condizionalità: alcuni alcuni governi si chiedono infatti se per poter accedere al fondo, in cambio, non verranno chiesti piani draconiani di privatizzazione o per raggiungere pareggi di bilancio.
Non appare inoltre ancora chiaro chi potrà accedere a tali fondi: sembra evidente che non possano essere escluse, ad esempio le piccole nazioni insulari che rischiano di scomparire dalle carte a causa della risalita del livello dei mari, provocata dalla fusione dei ghiacci polari. Allo stesso modo, dovrebbero essere incluse le nazioni che presentano i più bassi dati relativi a Prodotto interno lordo e Human development index. In questo modo, però, ad esempio una nazione come il Pakistan sarebbe impossibilitata ad accedere ai fondi, nonostante sia estremamente esposta di fronte agli impatti del riscaldamento globale.
Infine, il fondo per ora può contare (almeno in teoria) su qualchecentinaio di milioni di dollari promessi dai vari governi. Le nazioni vulnerabili hanno già fatto sapere che il mondo ricco “sta sbagliando unità di misura: ci aspettiamo impegni nell’ordine dei miliardi, non dei milioni”.
Triplicare le rinnovabili
Un secondo impegno assunto alla Cop28 riguarda le energie rinnovabili. Un documento sottoscritto da 118 nazioni chiede di triplicare la capacità installata di tali fonti pulite, raddoppiando al contempo il ritmo annuale di miglioramento dell’efficienza energetica dal 2 al 4 per cento.
Tuttavia, nella seconda bozza di documento finale pubblicata sul sito ufficiale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), neppure su questo punto si è d’accordo. Benché tale possibilità venga infatti evocata, sul tavolo rimane anche l’opzione “no text”. La presidenza della conferenza, dunque, non considera esclusa la possibilità che l’impegno sulle rinnovabili possa , alla fine, saltare.
Triplicare il nucleare
Un numero ben più ristretto di stati (una ventina, compresi Stati Uniti, Francia, Giappone e Emirati Arabi Uniti) a proposito di triplicare la potenza installata di impianti nucleari. Si tratta di una proposta che appare più centrata sugli interessi nazionali che sulle necessità del clima: si parla infatti di 2050 come data possibile di conclusione del processo. La scienza ci indica invece che abbiamo ancora a disposizione pochissimi anni prima di esaurire il nostro “carbon budget”, ovvero il quantitativo di emissioni di gas ad effetto serra che possiamo ancora permetterci di disperdere nell’atmosfera senza sforare la soglia degli 1,5 gradi centigradi di riscaldamento globale, rispetto ai livelli pre-industriali.
Il rinnovato interesse per il nucleare, inoltre, si scontra con una tendenza di declino da parte del settore. I dati aggiornati al primo semestre del 2023 indicano infatti la presenza in servizio, in tutto il mondo, di 407 reattori, per una potenza totale installata di 365 Gigawatt, in 32 nazioni. Si tratta, dunque, di quattro unità in meno rispetto al 2022 e di 32 in meno rispetto al picco del 2002, secondo quanto indicato dal 23esimo Rapporto annuale sullo stato dell’industria nucleare mondiale (Wnisr).
La produzione, inoltre, ha raggiunto nel 2022 i 2.546 terawattora: un dato in calo del 4 per cento, che ha portato la quota di nucleare nella produzione di elettricità commerciale globale al 9,2 per cento. Il dato più basso degli ultimi quattro decenni.
L’uscita dalle fossili
Su uno dei punti salienti della Cop28, lo stallo appare evidente. Già abbordata nel corso della ventiseiesima Conferenza mondiale sul clima (la Cop26 di Glasgow) e poi accantonata provvisoriamente alla successiva Cop27 di Sharm el-Sheikh, la questione del carbone è tornata sul tavolo dei negoziati. Si tratta, in questo senso, di un fatto positivo. Ma la bozza pubblicata dall’Unfccc non cita tutto il carbone, ma solamente solamente quello unabeated, ovvero privo di sistemi di cattura della CO2 negli impianti.
La speranza è fin qui stata legata al fatto che la presenza di un petroliere alla presidenza della Cop28, ancorché probabilmente ostativa per un impegno ad uscire dalle altre fonti fossili, potesse perlomeno consentire di fare passi avanti proprio sul carbone. Anche in questo caso, però, se da una parte si propone un testo che possa indicare un calo del 75 per cento, entro il 2030, rispetto ai livelli del 2019, per quello appunto unabeated, la bozza evoca anche in questo caso l’ipotesi “no text”. Ovvero evitare di toccare l’argomento mento nella cover decision finale.
La stessa bozza ricalca una impasse simile anche per quanto riguarda le fonti fossili nel loro complesso. Sul tavolo ci sono tre opzioni: la prima prevede un’uscita “ordinata ed equa”. Senza prevedere tuttavia date. in questo senso, si ripete la diatriba tra phase out (uscita) e phase down (diminuzione). accettare di scrivere nero su bianco la prima formula, ma senza prevedere una road map chiara per arrivarci, con date finali e intermedie, significa potenzialmente procrastinare all’infinito alla transizione energetica.
La seconda opzione presente nel testo prevede invece “un’accelerazione degli sforzi verso l’uscita dalle fonti fossili unabated, riducendo il loro uso al fine di raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 nel sistema sistemi energetici entro o attorno alla metà del secolo”. E permane, appunto, anche la terza ipotesi, quella più nefasta: “No text”, nessun testo sull’argomento. Infine, nel documento si evoca anche la possibilità di agire sui sussidi concessi alle fossili. Ma anche su questo punto non c’è accordo tra gli stati.
Per quanto riguarda poi il metano, ovvero un gas ad effetto serra che resta per meno tempo nell’atmosfera ma che presenta un potenziale clima alterante decine di volte superiore rispetto alla CO2, va registrato il fatto che gli Stati Uniti hanno annunciato la volontà di entrare a far parte del Global Methane Pledge, iniziativa alla quale hanno già aderito 150 nazioni e che punta ha ridurre le emissioni legate a tale gas del 30 per cento entro il 2030.
Un ultimo impegno assunto sul tema alla Cop28 è quello giunto da 50 compagnie petrolifere. Queste ultime si sono impegnate a “decarbonizzare” le loro attività. Ma, in realtà, la dichiarazione riguarda unicamente le operazioni di estrazione e di produzione di petrolio e gas. In pratica, è totalmente escluso il consumo, che però vale l’80-90 per cento delle emissioni complessive nel ciclo di vita delle due fonti fossili. Come se non bastasse, l’impegno prevede una scadenza lontanissima nel tempo, al 2050. Il che fa supporre che, nelle intenzioni delle 50 compagnie, c’è la volontà di continuare ad ad ad estrarre, produrre, raffinare e vendere petrolio e gas ancora per trent’anni.
Ciliegina su una torta: l’impegno delle aziende in questione è totalmente su base volontaria.
Impatti sanitari del clima e alimentazione
Perlomeno, una buona notizia è giunta dal fatto che un documento ufficiale è stato approvato in merito alle ricadute sanitarie dei cambiamenti climatici. A sottoscriverlo è stato un gruppo di 120 nazioni, che chiedono che “la salute sia posta al centro dell’azione climatica”. Anche in questo caso, tuttavia, il testo si presenta soprattutto come una dichiarazione di intenti piuttosto che di impegni concreti. Basti pensare che, proprio per evitare che il progetto naufragasse, si è scelto di non citare le fonti fossili come quelle più dannose dal punto di vista della salute pubblica.
Nel corso dei primi giorni della Cop28, inoltre, si è parlato di sicurezza alimentare. Con nuove promesse che sono state avanzate dal mondo ricco a favore delle nazioni più vulnerabili della terra.
Agricoltura e allevamenti
Una dichiarazione è stata lanciata da un gruppo di 130 nazioni anche per quanto riguarda il settore agricolo e degli allevamenti. Anche in questo caso si tratta di promesse avanzate su base volontaria. Inoltre, il testo è stato ampiamente criticato poiché privo di impegni concreti. Ci si è limitati, in sostanza, ad ammettere l’esistenza del problema. E non è stata neppure menzionata la necessità di modificare progressivamente le diete alimentari al fine di includere nelle stesse meno carne possibile.
La mobilitazione della finanza
Era attesa, poi, nella prima settimana anche la “giornata della finanza”. Come noto, infatti, banche, fondi di investimento e compagnie d’assicurazione continuano a pompare migliaia di miliardi di dollari nelle casse delle aziende che, a vario titolo, sfruttano ancora carbone, petrolio e gas. Se non verrà modificata la direzione di tali flussi di capitali, sarà di fatto impossibile raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Alla Cop28 i delegati divisi tra cauto ottimismo e disillusione
Di fronte a tale situazione, anche i delegati oscillano tra speranza e disillusione. se da una parte, ad esempio, il ministro danese per lo Sviluppo e le politiche climatiche, Dan Jorgensen, ha espresso un cauto ottimismo sottolineando come sia importante che, perlomeno, si stia discutendo di energie fossili, dall’altro il cubano Pedro Luis Pedroso (presidente del gruppo dei paesi in via di sviluppo ed emergenti, il G77 + Cina) ha puntato il dito contro quella che ha definito “l’ipocrisia” dei paesi ricchi. “Se una nazione estremamente povera dovesse scoprire un giacimento di petrolio, come si può chiederle di rinunciarvi senza che nessuno la aiuti a farlo?”, ha domandato.
Sullo stato dei negoziati, inoltre, si è espresso anche il segretario generale dell’Unfccc Simon Stiell: “Abbiamo un testo di partenza sul tavolo – ha spiegato – ma per ora assomiglia ad un cumulo di speranze piano di posizioni diverse diverse. Dobbiamo imperativamente separare i frutti buoni dalle mele marce. Se vogliamo salvare delle vite umane e mantenere in vita l’obiettivo degli 1,5 gradi, dovranno restare soltanto gli obiettivi più ambiziosi”.
“Alla fine della prima settimana – ha aggiunto Stiell – la Cop avrebbe dovuto consegnarci un treno ad alta velocità per accelerare l’azione climatica. Al contrario, ci ritroviamo oggi con una vecchia locomotiva che tentenna su binari usurati. Gli strumenti sono a disposizione. Le tecnologie e le le soluzioni esistono. È tempo che i governi e i negoziatori le utilizzino”. A partire da venerdì 8 dicembre, e quasi 200 paesi presenti alla Cop28 avranno a disposizione ancora cinque giorni (più eventuali “tempi supplementari”) per stupirci. E stupire anche i quasi 2.500 lobbisti delle fonti fossili che si sono presentati a Dubai con l’obiettivo di rallentare l’azione climatica.
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