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La risoluzione Unesco parla di Palestina occupata e chiede a Israele di rispettare i patti sulla Spianata delle moschee, a Gerusalemme. L’Europa, Italia in testa, non ci sta.
Rischia di spaccare i rapporti tra Oriente e Occidente, la risoluzione sui luoghi santi di Gerusalemme Est approvata dall’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura: una mozione voluta dall’Autorità palestinese e presentata da Algeria, Egitto, Libano, Marocco, Oman, Qatar e Sudan allo scopo di preservare il patrimonio culturale palestinese, che nega l’associazione automatica tra l’ebraismo e i luoghi sacri di Gerusalemme e che ha suscitato le proteste non solo di Israele, ma praticamente di tutto l’Occidente. Italia compresa: secondo il primo ministro Matteo Renzi “sostenere che Gerusalemme e l’ebraismo non hanno una relazione è incomprensibile, inaccettabile e sbagliato, come sostenere che al sole c’è il buio”. Eppure il fatto che l’Italia si sia semplicemente astenuta ha comunque esposto il governo italiano alle critiche dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, che si sono rivolte direttamente al presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Sono due i punti principali, uno più politico e l’altro più culturale, approvati dal Consiglio esecutivo dell’Unesco e contesti da Israele e dalle comunità ebraiche di tutto il mondo. Il primo è chiaro sin dal titolo della risoluzione: “Palestina occupata”. E poi nella presentazione si parla di Israele come di “un potere occupante”, protagonista di “crescenti aggressioni da parte di estremisti di destra” e di “restrizioni imposte all’accesso dei luoghi sacri, anche agli esperti dell’Unesco”. Affermazioni che chiaramente non vengono accettate da Israele.
La parte più tecnica della risoluzione è altrettanto significativa: si afferma infatti che i luoghi sacri di Gerusalemme, considerati patrimonio dell’Unesco, non sono direttamente e unicamente collegati all’ebraismo, tanto che quello che gli ebrei chiamano il Monte del tempio, in tutta la risoluzione viene nominata esclusivamente con la definizione araba di Spianata delle moschee (Al Haram al Sharif, in arabo), che comprende anche il Muro del pianto. “Dire che Israele non ha connessioni con il Monte del tempio e il Muro del pianto, è come dire che la Cina non ha legami con la Grande muraglia o l’Egitto con le piramidi”, ha tuonato il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Nei fatti però la risoluzione chiede a Israele il rispetto dell’accordo che vige dal 1967, e che pone i luoghi sacri di Gerusalemme sotto l’egida di Al Waqf, una fondazione musulmana controllata dalla Giordania, e che consente agli israeliani il diritto di accesso, ma non di preghiera: un accordo ribadito anche nel 1994 da Israele e Giordania e nel 2013 da quello tra Autorità palestinese e Giordania ma da sempre traballante, tanto che la Spianata (o Monte del tempio) è stato spesso luogo di scontri e di reciproche rivendicazioni.
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