La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Wane è un viaggio di riscoperta e di storie, voci. Per tradurre in azioni domande, dubbi, preoccupazioni raccolte in questi anni di crisi climatica. L’intervista a Valeria Barbi.
Quando Valeria Barbi ci ha presentato il progetto non abbiamo avuto dubbi. La spedizione We are nature (Wane) doveva avere il supporto della nostra redazione, di LifeGate. Ma partiamo dall’inizio. Barbi è un’esperta di biodiversità e studia il rapporto tra uomo e natura nell’epoca che abbiamo imparato a chiamare antropocene. E si occupa di divulgazione per far passare in modo semplice i messaggi chiave. Insieme a lei c’è Davide Agati, fotografo ed esperto di gestione dati. Due persone che si integrano alla perfezione e che hanno deciso che questo non fosse più il tempo delle parole, seppur belle ed efficaci, ma che fosse giunto il momento di tradurle in azione. Di diventare una sorta di “sentinella” per trovare sul campo le risposte a domande, dubbi, preoccupazioni raccolte dalle centinaia di studenti, lavoratori, persone incontrate nel corso degli anni. E per dar voce alla Terra. Per tutti questi motivi e per la potenza del messaggio LifeGate ha scelto di essere media partner di We are nature expedition e di cominciare il racconto facendo poche e semplici domande alla sua ideatrice.
Ci racconti cos’è Wane e in cosa consiste?
Wane sta per We are nature expedition e nasce come reportage sul campo con l’obiettivo di documentare la crisi ecologica e la perdita di biodiversità in quattordici paesi, dall’Alaska, negli Stati Uniti d’America, all’Argentina, lungo la Panamericana. Ma è anche una sfida che comporta tanto studio, pazienza ed empatia. La realizzazione dell’itinerario è costata tredici mesi di lavoro tra letture, mappe, riunioni con associazioni e ricercatori che lavorano sul territorio. Perché, e questo ci tengo a sottolinearlo, il reportage non racconterà solo una storia attraverso le nostre parole e i nostri occhi, vogliamo dare voce anche a chi in quei luoghi ci vive e combatte per ribadire il diritto ad un ambiente sano. Racconteremo la storia di specie iconiche – come lupi, orsi, balene, squali, giaguari o farfalle – e altre che arriveranno da chi si occupa di organismi molto meno carismatici, ma non per questo meno importanti, come gli anfibi e i funghi.
Com’è nato questo progetto? Esiste un episodio, un aneddoto che ha fatto scattare la scintilla?
Wane nasce nel pieno della crisi sanitaria ed ecologica. Era poco prima di Natale del 2020 e stavo leggendo Spillover di David Quammen. Qualche mese prima l’avevo intervistato per lavoro e ho iniziato a mettere insieme i pezzi di un puzzle su cui meditavo da tanto. Io mi occupo di cambiamenti climatici e biodiversità da più di dieci anni e avevo voglia e bisogno di tornare sul campo. Di vedere cosa sta accadendo per poterlo raccontare con ancora più efficacia e precisione. Davide è sempre stato appassionato di fotografia e interessato ai temi legati alla sostenibilità e alla tutela dell’ambiente, in particolare quello marino. Da molto tempo desiderava mettere in pratica alcune delle sue conoscenze pratiche e, soprattutto, metterle a servizio di un qualcosa di etico e importante. E così, dopo aver valutato i primi aspetti logistici e organizzativi, è partita la macchina che ci ha portati fino a qui, oggi, a pochi giorni dalla partenza.
Però non mi è ancora chiaro “perché lo fate”?
Perché, anche se la risposta può sembrare banale, il solo studio non è sufficiente: non ti basta più. Hai bisogno di un bagno di realtà, per quanto possa essere difficile da affrontare. Perché leggere di specie che si estinguono e di risorse naturali depredate, mette alla prova lo stomaco e la forza. La nostra speranza è che toccando con mano alcune situazioni, parlando con le comunità indigene che non hanno accesso all’acqua o che vedono estinguersi la loro cultura e le loro tradizioni insieme ad alcune delle specie da cui dipendono, ci darà modo di creare delle connessioni. Ancora una volta, la parola d’ordine è empatia. Una dote che può essere appresa e guidata verso altre culture, specie diverse o, più in generale, verso il mondo naturale da cui tendiamo a isolarci sempre di più. E anche in questo la pandemia ha giocato un ruolo. Ci sentiamo spesso ripetere che quello che è successo ci sta dando modo di capire la connessione tra le due crisi: sanitaria ed ecologica. Ma il rischio che la natura venga vista erroneamente come un serbatoio di virus da eliminare non è da escludere. E la possibilità che emerga un ragionamento di questo tipo va fermata il prima possibile.
La scelta della Panamericana come itinerario di Wane è dovuto al fatto che “quello che accade dall’altra parte del mondo ha effetti diffusi sul Pianeta”, come hai scritto in un post sui social. Il famoso “battito d’ali di farfalla”… Cosa ti aspetti di scoprire nelle Americhe? E quali risposte stai cercando?
In questo caso, il battito di farfalla si riferisce anche all’attenzione e alla curiosità delle persone. Si dice sempre che uno dei problemi legati alla comunicazione sui cambiamenti climatici è la loro localizzazione geografica e temporale, sempre troppo lontana, quando invece sappiamo che sono qui e ora. Eppure, allo stesso tempo, sappiamo così poco di quello che accade in luoghi lontani. Il rapporto delle comunità indigene con la natura, i modi in cui il riscaldamento globale incide sulle rotte migratorie di alcune specie e, in ultimo, sulla loro alimentazione… Sono tutte cose che da italiani, e da europei, ci sfuggono.
In generale, la biodiversità è un concetto poco considerato e conosciuto. La scomparsa di una specie, a meno che non sia una di quelle particolarmente carismatiche, non è un evento che sentiamo. Invece dovrebbe esserlo. Equivale alla perdita di un patrimonio genetico e culturale. Senza contare l’importanza che potrebbe avere per la medicina. E con questo, chiaramente, non voglio dire che le specie hanno un valore meramente funzionale, anzi! Ritengo che sia anzitutto una questione morale e di responsabilità quella che ci dovrebbe portare a difendere la natura con tutte le nostre forze.
La Panamericana attraversa tutti gli ecosistemi esistenti al mondo: dalla tundra artica ai deserti, dalla foresta pluviale all’oceano, dalle vette andine alla foresta temperata, incluso il golfo della California che Jacques Cousteau chiamava “l’acquario del mondo”.
LifeGate è orgogliosa di essere media partner di Wane. Cosa dobbiamo aspettarci dal viaggio, qualche anticipazione che le persone che ci seguono potranno vivere in esclusiva sui nostri canali?
Tra le storie più belle che racconteremo, nonché una delle personalità che non vedo l’ora di incontrare, c’è quella di un esemplare di rana d’acqua di Sehuencas che è stato protagonista di un incontro al buio – complice anche il sito di appuntamenti Match.com – grazie al quale ha conosciuto la sua “Giulietta” e ora il destino di questa specie è nelle mani di questi due esemplari e dell’équipe di ricerca che andremo a intervistare al museo di Storia naturale di Cochabamba, in Bolivia.
Grazie a LifeGate, che siamo entusiasti di avere a bordo di questo progetto, porteremo le persone alla scoperta di un mondo e di situazioni che non conoscono. Abbiamo coinvolto associazioni e persone che non hanno sempre, o per forza, una fama a livello globale.
Vedrete come si realizza un reportage di questo tipo: quali sono le difficoltà, le delusioni, le sfide ma anche i successi, i momenti di ilarità e di gioia. Insomma, avrete il dietro le quinte perché quello che vogliamo trasmettere alle persone è un messaggio reale e concreto. Senza messe in scena. Per cui, aspettatevi anche di vederci mentre prepariamo l’attrezzatura o arrampicarci su qualche albero per avere l’inquadratura migliore, oppure di vederci commuovere mentre ascoltiamo qualche storia o mentre osserviamo un lupo, una balena grigia o la vastità dei territori di Nordovest. In fondo, sono cresciuta con i libri di Jack London, e se sono quello che sono, è anche grazie a Buck, alla sua ostinazione e al suo bisogno di entrare a contatto con la natura selvaggia.
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