Da dieci anni, l’Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile tiene traccia delle conoscenze, degli atteggiamenti e dei comportamenti degli italiani in materia di sostenibilità. Intercettando una consapevolezza sempre più diffusa.
Viaggio come nomadismo spirituale
Il nomadismo spirituale è il bisogno di evasione, di elevazione. La ricerca di un Altrove che appaghi insieme ansie di assoluto e desideri voluttuosi
Il nomadismo spirituale è uno stato dell’essere molto particolare che si manifesta improvvisamente, rallenta i ritmi della vita, paralizza ogni fibra dell’individuo e si impossessa della mente e dello spirito che vorrebbe evadere dalla sua prigione corporea. Ad esso sopraggiungono immediati, struggenti sentimenti di malinconia e apatia, tristezza e inquietudine, un forte disagio esistenziale. A volte, però, qualcosa si desta inaspettato: un risveglio improvviso della coscienza che libera l’anima da quell’intorpidimento inibitore favorendo le condizioni migliori per sottrarsi a quello che alcuni chiamano il male di vivere.
Nel secolo scorso, il nomadismo spirituale prese il nome di spleen, termine di origine inglese che sta a significare malinconia e ipocondria. Baudelaire, pur dedicandogli la mirabile poesia dal titolo omonimo lo definì spesso con il corrispettivo francese ennuì, che in italiano, a sua volta, potrebbe essere tradotto con il leopardiano tedio , mentre nella lingua portoghese e in quella brasiliana è noto con il nome di saudade. Presso gli aborigeni australiani walkabout viene usato per spiegare l’impulso irresistibile a lasciare la comunità, in silenzio e senza spiegazione alcuna, per spostarsi altrove e incamminarsi lungo i sentieri del canto tracciati dagli antenati totemici nel Tempo del Sogno.
Anche nei Mari del Sud gli addii non devono essere troppo dolorosi. Fiu è l’espressione polinesiana che comprende varie sfumature di diversi stati d’animo: tristezza, noia, nostalgia, disperazione. Quando ciò accade, non resta molto da fare né da spiegare. Il polinesiano raccoglie le sue quattro cose, prepara la piroga, abbandona la sua vahinè e i suoi figli alle cure del villaggio e prende il mare. L’antropologo Joseph Campbell lo definisce “concetto mitico”, il viaggio dell’eroe che lascia la sua famiglia e la sua gente per compiere una iniziazione alla vita e diventare uomo.
Unica possibilità di uscire dallo spleen è, come dice Baudelaire, l’Ideal ( Ideale) , ovvero il bisogno di evasione, di elevazione, il tentativo di liberarsi del male di vivere. Il momento più alto dell’Ideal è il viaggio, sia fisico, inteso come ansia di nuovi orizzonti, conoscenza, avventura, arricchimento alla propria visione culturale; sia spirituale, inteso cioè come dimensione onirica. Il viaggio, dunque, diviene ricerca di un Altrove che appaghi insieme ansie di assoluto, desideri voluttuosi, ricerca di ispirazione artistica, trasformazione interiore.
Dal Romanticismo in poi il desiderio di essere artista diviene il simbolo di una rivolta, di una fuga, di un modo particolare di trovare se stessi. Così era stato per Cèzanne, Manet e Gauguin. Mentre nel Viaggio in Italia, scrive il sociologo Franco Ferrarotti, ha luogo in Goethe la ripresa critica di tutte le sue esperienze esistenziali, artistiche e scientifiche; emerge, a poco a poco, il significato complessivo della sua vita; dunque il viaggio non è più un cammino verso qualcosa che abbiamo di fronte, è un quieto guardarsi alle spalle, il bilancio consuntivo della propria pratica di vita.
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