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Il settore del vino traina l’export e l’agroalimentare italiano. Sempre più diffuso il biologico. Tiriamo le somme sul vino bio dopo Vinitaly 2023.
Si è chiuso Vinitaly 2023 a Verona, la più importante fiera internazionale del settore. Girando gli stand e i padiglioni regionali, risulta evidente come, per la maggior parte dei produttori i mercati esteri rappresentino quote sempre più importanti. Nel 2022 le esportazioni hanno toccato quota 54 per cento del fatturato, con quasi 8 miliardi di fatturato. Il settore vinicolo è decisamente trainante per l’intero comparto agro alimentare. I vini sono anche gli “apripista” di altri settori alimentari italiani. Ad ogni punto in più di crescita delle esportazioni, corrisponde, ogni due anni, una crescita media dello 0,8 per cento degli altri prodotti agro alimentari.
Tuttavia, il settore vitivinicolo è anche uno dei più esposti ai cambiamenti climatici, per cui, nell’immediato, saranno necessari significativi investimenti per adattarsi alla crescita delle temperature e degli eventi atmosferici estremi. Si calcola l’esigenza di investimenti pari a 100 milioni anno (lo 0,7 per cento del fatturato vinicolo, per complessivi 2,7 miliardi), da oggi al 2050. Le produzioni sostenibili e biologiche, nei campi e nelle cantine, sono in crescita lenta ma costante nelle scelte dei produttori.
Quest’anno a Vinitaly Bio, il padiglione di Vinitaly dedicato ai vini biologici, erano presenti ben 110 aziende, senza contare i produttori “misti”, con linee di produzione bio e ordinarie, o presenti negli stand regionali. Negli ultimi dieci anni le produzioni di vini biologici sono cresciute del 110 per cento in Italia e il trend non sembra frenare, tanto che un italiana/o su due, secondo i dati di Nomisma-Wine Monitor, predilige i vini bio rispetto a quelli tradizionali.
È sempre Nomisma a certificare che “il 90 per cento delle aziende prevede che nei prossimi due anni i consumatori mostreranno un crescente interesse per i vini biologici e sostenibili”. I vini bio italiani trovano maggior accoglienza nei Paesi del nord Europa e, a far da apripista, sono Sicilia, Veneto e Toscana, seguite da Piemonte e Puglia. Con 128mila ettari di vite coltivata con metodo biologico, il nostro Paese si conferma tra i leader mondiali nella produzione di vino biologico, detenendo il primato di superficie vitata bio: il 19 per cento sul totale della viticoltura nazionale. Negli ultimi dieci anni le superfici di vite coltivate a bio sono aumentate di oltre il 145 per cento.
Ma addentriamoci con curiosità nei processi della produzione dei vini biologici. Scelte che sono, oggettivamente, più onerose e articolate rispetto alle coltivazioni e ai processi tradizionali o ordinari. La qualità, la sostenibilità e la certificazione del vino biologico, inizia nei campi. In primo luogo, per rinforzare le piante, in viticoltura biologica si usano degli “integratori”, tecnicamente “induttori di resistenza”. Sostanze ammesse come fungicidi e insetticidi sono il verde rame e lo zolfo da usare in dosi controllate in quanto potenzialmente irritanti per l’uomo e fitotossici in presenza di gemme e forti sbalzi di temperature. Per la concimazione dei terreni si utilizzano solo concimi organici e si pratica la tecnica del sovescio (la semina di erbe che vengono totalmente interrate). La selezione dei grappoli d’uva avviene nel corso della raccolta, scartando la frutta ammalorata o con muffa. La lotta alle muffe del comparto bio è più imprevedibile rispetto alle coltivazioni convenzionali e costa, mediamente, un 20 per cento in più.
In viticoltura convenzionale, oltre a raccogliere meccanicamente tutto il prodotto, si impiega antibotritico (un antifungino chimico di sintesi). Per la concimazione del terreno, si usano fertilizzanti chimici di sintesi che apportano benefici rapidi sul breve periodo ma sul lungo periodo impoveriscono il suolo e riducono la biodiversità, arrivando fino alle falde acquifere.
Giacomo Mariotti è un enologo che proviene dal comparto convenzionale e oggi lavora per un’azienda biologica in Toscana, seguendo anche i lavori in vigna. Durante Vinitaly Bio ci racconta che “rispetto alla desertificazione provocata dalle monoculture (inclusa la vite) e all’irrorazione di prodotti di sintesi sui terreni tipici del convenzionale, il bio invece aiuta la biodiversità degli insetti utili che vivono sopra e sotto il terreno”. “Per quanto concerne la salute e la qualità del vino”, spiega Mariotti, “i processi produttivi del vino bio prevedono limiti di solfiti molto più bassi rispetto ai vini convenzionali. Il controllo e il contenimento dei solfiti contenuti nei lieviti e dei batteri, comporta un rigoroso controllo delle temperature in cantina (più alta è la temperatura e maggiore sarà lo sviluppo dei batteri)”.
“Un’ultima curiosità riguarda il lavaggio delle uve prima che entrino in cantina. Pochi produttori adottano questo accorgimento, in quanto oneroso. Eppure, chi lo pratica, può osservare nelle vasche di lavaggio una consistente quantità di fango, derivante da terra e polvere accumulate sui grappoli; “ingrediente” sgradito e non previsto che finisce in bottiglia, in assenza del lavaggio”, conclude l’enologo.
Lasciamo Verona e la infinita biodiversità dei padiglioni regionali con la convinzione che, almeno su vino e olio (un capitolo che merita una disamina dedicata), non si dovrebbe risparmiare scegliendo il prezzo più conveniente. Meglio meno ma di qualità, per le persone e per l’ambiente. “Tanto paghi, tanto vale”, usava recitare la nonna.
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