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Se la temperatura aumentasse di 2 gradi entro il 2050, potrebbe sparire il 56% delle attuale regioni vitivinicole. Nel 2100 si arriverà all’85%.
Per capire quale sia lo stato di salute del Pianeta è sufficiente analizzare le piante che lo popolano. In particolare i vigneti ci dicono che le temperature in aumento stanno minacciando l’esistenza di uno dei prodotti umani più pregiati: il vino. Vendemmie anticipate, migrazione dei vitigni a quote più alte o verso nord sono alcuni dei segnali che preoccupano non solo gli esperti del settore e chi ci lavora, ma anche i climatologi.
La vite è una pianta molto sensibile alle variazioni climatiche ed è per questo che la vendemmia cambia di anno in anno: nell’estate del 2003, in Borgogna, la produzione crollò del 30 per cento, mentre in Italia l’annata 2017 è stata tra le peggiori degli ultimi cinquant’anni (dovuta in parte alla gelata di aprile e in seconda battuta alla siccità). Il continuo aumento delle temperature medie fa sì che per trovare le stesse condizioni di cent’anni fa, la vite debba salire in altitudine e, a seconda delle zone, in latitudine, trasferendo la produzione di vino laddove era impensabile fino a un decennio fa.
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Wine-growing regions that are already warm now – such as Italy, Spain and Australia – will see the largest losses as the planet heats up. But the scientists say that cooler wine-growing regions could be relatively unscathed#ClimateChange #wine— GreennovaFoundation (@GreennovaFound) February 13, 2020
Insomma, i vigneti e il vino sono tra le prime vittime delle conseguenze dei cambiamenti climatici, come dimostra l’Institut National de la Recherche Agronomique (Inra): in uno studio pubblicato su Pnas l’istituto di ricerca francese sostiene che il 56 per cento delle regioni vitivinicole nel mondo potrebbe scomparire se si confermasse uno scenario di aumento delle temperatura di 2 gradi centigradi entro il 2050. Percentuale che potrebbe salire all’85 per cento se il riscaldamento raggiungesse i +4 gradi entro il 2100. Lo studio si è concentrato su undici varietà di vitigni (tra cui cabernet-sauvignon, chardonnay, pinot nero, riesling e syrah) che rappresentano il 35 per cento della superficie coltivata nel mondo e dal 64 all’87 per cento della superficie coltivata in paesi vitivinicoli quali Australia, Cile, Francia, Nuova Zelanda, Svizzera e Stati Uniti.
I paesi del Mediterraneo, tra cui Italia e Spagna, sarebbero i più colpiti dalle perdite: lo studio parla addirittura di circa il 65 per cento, a beneficio di aree più temperate o a quote più elevate. Ad esempio in Nuova Zelanda e nel nord degli Stati Uniti nuovi pionieri del vino potrebbero impiantare vitigni facendo aumentare le terre coltivate a vite fino a raddoppiarne l’estensione rispetto all’attuale estensione. In nazioni come la Francia e la Germania, invece, potrebbero tutto sommato equilibrare guadagni e perdite migrando, ma restando sempre all’interno dei confini nazionali.
In Italia ci sono già campanelli d’allarme. Basti pensare al caso del Piemonte, quando nel 2016 si affacciò sul mercato un nuovo spumante, denominato Alta Langa: in quel caso gli chardonnay e il pinot nero, prima coltivati a un massimo di 250 metri di altezza, si sono spinti – e continuano a spingersi – anche a mille metri, dove prima c’erano solo boschi e noccioleti. La stessa tendenza ha convinto gli champagnisti a investire nel sud dell’Inghilterra o, tornando in Italia, a Bossolasco, proprio in quella stessa Alta Langa dove, fino agli anni 80, a 800 metri d’altezza dal livello del mare c’era un impianto di skilift funzionante, mentre oggi si coltivano le uve.
La ricerca di Inra, coordinata dal ricercatore Benjamin Cook, fornisce qualche soluzione. La prima: si tratta di comprendere meglio la capacità adattativa delle diverse varietà di uve ai cambiamenti futuri, in particolare delle uve autoctone, al fine di aiutare i coltivatori a ridurre al minimo l’impatto dei cambiamenti climatici sui loro vigneti. In questo senso, l’aumento della biodiversità dei vitigni potrebbe dimezzare le potenziali perdite delle regioni vitivinicole nel primo scenario climatico (+2 gradi al 2050) e ridurre le perdite di un terzo nel secondo (+4 gradi al 2100).
Scientists believe global warming will lead to a shortage in wine #globalwarming #climatechange @guardian https://t.co/3rVxa6G3aS pic.twitter.com/0sBtWhk86L
— IEM plc (@IEMplc) February 6, 2020
Inoltre, è fondamentale sensibilizzare i consumatori, incoraggiandoli a provare nuove varietà, in modo che le aziende possano diversificare la loro produzione e aumentare la loro capacità di adattamento. Molti di questi problemi sono stati e sono attualmente in discussione in Francia nell’ambito del progetto Laccave, lanciato nel 2012 e coordinato dall’Irna, che mira a definire strategie di adattamento ai cambiamenti climatici per i vigneti francesi da qui al 2050.
Nella regione di Bordeaux, ad esempio, è stato condotto un esperimento con vini che si ritiene siano il prodotto del mutamento climatico: le piante sono state coltivate in zone più asciutte e l’uva è stata raccolta più tardi del solito. Il loro sapore ricorda la frutta cotta e non quella fresca. Ma al di là delle sperimentazioni, a livello globale, il futuro di queste aree dipende in gran parte dalle decisioni politiche e sociali che verranno prese nei prossimi anni.
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