Presente al corteo l’attivista svedese ha detto: “Non puoi dire di lottare per la giustizia climatica se si ignora la sofferenza dei popoli emarginati”.
Vivere di fretta
Oggi bisogna seguire ritmi quotidiani frenetici. La giornata tipo di ognuno di noi è colma di cose da fare: dagli appuntamenti di lavoro agli impegni personali.
Sono gli stili di vita della società contemporanea a imporre
ritmi pressanti o l’origine della fretta è nella natura
umana?
Oggi, per non essere emarginati, esiste il tacito obbligo sociale
di essere all’avanguardia e competitivi. Questo causa
un’inspiegabile paura di perdere tempo che rende difficile godersi
l’attesa oppure rallentare il ritmo. Perfino il relax – il
cosiddetto tempo libero – viene messo in agenda e spesso anche la
vacanza diventa un calendario intenso, con il dovere inconsapevole
di divertirsi o di conoscere, e vedere, il più
possibile.
Nel Seicento, il filosofo francese Blaise Pascal scriveva: “Quando
mi sono messo talvolta a considerare le diverse agitazioni degli
esseri umani e i pericoli e le pene a cui si espongono, alla Corte,
in guerra, da cui nascono tante liti, tante passioni, imprese
ardite e spesso malvagie, ho scoperto che tutta l’infelicità
degli esseri umani deriva da una sola cosa e cioè non saper
restarsene tranquilli in una stanza…”.
Se l’origine della fretta è nella natura umana, può
darsi che l’attuale situazione si sia incancrenita con il progresso
tecnologico, che porta sì vantaggi e comodità, ma
è anche maschera che nasconde le antiche paure: la
solitudine, la malattia e la morte. Eppure, paradossalmente,
proprio nel rifuggire queste realtà, la fretta dello stile
di vita contemporaneo le trasforma in rischio ancora più
concreto. Come uscire da questo circolo vizioso?
“Abbiamo un bisogno urgente di rallentare, riprendere fiato, di
sbarazzarci dell’angoscia di non arrivare a fare tutto quello che
si deve fare nell’arco delle ventiquattro ore che fanno la
giornata. Nella ricerca della tranquillità, il primo passo
è il divorzio dal mito della velocità. Quello va bene
per i programmi software e i gran premi di Formula Uno. Noi piccoli
uomini, lasciamoci attrarre dal richiamo della lentezza. Cominciamo
a praticare la sosta, le pause lunghe, il passo pigro”.
Così recita l’inizio di una recensione a un breve saggio di
di Christoph Baker “Ozio, lentezza e nostalgia” (Editrice
missionaria italiana, 2001), che affronta un tema che tutti
sentiamo, ma che non abbiamo tempo di approfondire (sic!).
Un suggerimento concreto, per cominciare: Provate a camminare nel
centro di una città all’ora di punta. Ignorate gli altri
attorno a voi e, preso coraggio, cominciate a muovervi lentamente,
senza fretta. Adesso alzate gli occhi e guardate…
Siete in un’altra dimensione. La fretta degli altri vi
apparirà nella sua insensatezza, mentre voi potrete notare
sotto un’altra luce le tante cose che ci circondano.
Francesco Aleo
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