Frágil equilibrio, José Mujica racconta la nostra civiltà in un documentario

Insignito del premio del pubblico di Cinemambiente, Frágil Equilibrio fotografa le contraddizioni della nostra società accompagnato dalle parole di José Mujica. L’intervista al regista Guillermo García López.

La quotidiana lotta dei migranti nel sud del Sahara bloccati nel limbo del Monte Gurugù in Marocco e Melilla (città autonoma spagnola sulla costa orientale del Marocco), persone in cerca della propria libertà anche a costo della vita. La precarietà e il disagio di uomini e donne che hanno perso tutto a causa della recessione spagnola. La perdita d’identità e l’infelicità dei “salary-men” di Tokyo, che dedicano la vita a un lavoro che li inghiotte rendendoli paradossalmente schiavi. Storie apparentemente lontane ma che riescono a comporre un percorso coerente e a fotografare la civiltà attuale con tutte le sue contraddizioni, nel bellissimo documentario Frágil equilibrio (equilibrio fragile).

Abbiamo avuto occasione di vederlo nel corso della ventesima edizione di Cinemambiente che si è tenuta a Torino dal 31 maggio al 5 giugno, e di intervistare il suo giovane e talentuoso regista: il 31enne Guillermo García López.

Cinemambiente 2017, i vincitori

Scandito dalle parole di José (Pepe) Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, e già vincitore del premio Goya 2017 (il massimo riconoscimento cinematografico spagnolo) come miglior documentario, Frágil equilibrio ha ricevuto una calorosa accoglienza anche al festival piemontese che gli ha assegnato il premio del pubblico.

Tra i vincitori anche Plastic China (premio Asja.energy al miglior documentario internazionale), in cui il regista Jiu-liang Wang ci conduce in una delle tante aziende cinesi impegnate nella lavorazione dei rifiuti plastici provenienti da tutto il mondo e dove a lavorare sono intere famiglie.

Plastic China - ©Cinemambiente 2017
Plastic China © Cinemambiente 2017

Sempre la plastica è protagonista di un altro documentario premiato dalla giuria: Océans, le mystère plastique (premio Smat al miglior documentario One hour). Il regista francese Vincent Perazio indaga un fenomeno ancora troppo poco conosciuto: quello delle centinaia di migliaia di tonnellate di plastica inghiottite dagli oceani che si trasformano in microparticelle tossiche per lo più invisibili all’occhio umano ma che stanno a poco a poco formando un nuovo ecosistema.

La foresta amazzonica dell’Ecuador è invece il teatro scelto da Nika Šaravanja e Alessandro d’Emilia per Dusk Chorus – Based on fragments of extinction (Premio CiAl al miglior documentario italiano). Un viaggio sonoro, scientifico e poetico in un ecosistema antico e in via d’estinzione guidato dal ricercatore e compositore eco-acustico David Monacchi, autore del progetto multidisciplinare Fragments of extinction.

Dusk Chorus - Based on Fragments of Extinction - ©Cinemambiente (Premio CiAl al miglior documentario italiano)
Dusk Chorus – Based on fragments of extinction © Cinemambiente (Premio CiAl al miglior documentario italiano)

Guillermo García López, regista di Frágil equilibrio

Perché ha scelto proprio queste tre ambientazioni (Marocco, Spagna e Tokyo) per il documentario?
Perché c’è una relazione tra loro. Tutto parte in Africa, dove non c’è niente di materiale ma solo una ricerca di libertà. Poi c’è la Spagna, un paese che amo molto ma che oggi è rovinato dalla recessione e che non si riesce nemmeno a collocare bene nel primo o nel terzo mondo. Alla fine si arriva in Giappone, una società opposta a quella africana, in cui c’è tutto ma in cui mancano proprio quella libertà e felicità che cercavano all’inizio gli emigranti. Queste tre storie ci sembravano giuste per tracciare un percorso.

A cosa è dovuta la scelta di inserire anche Mujica all’interno di Frágil equilibrio?
Nel 2013 mi trovavo in Uruguay perché mia sorella abitava lì e rimasi molto colpito dall’entusiasmo con cui la gente parlava di una figura politica come Pepe Mujica. Quando ascoltai il suo discorso all’Onu capii perché: era un politico che finalmente parlava di cose umane, di amore, di vita e di libertà. Il suo discorso mi sembrò subito molto cinematografico e sentii il desiderio di raccontarlo in un film.

Guillermo García Lopez regista di Frágil Equilibrio - ©Cinemambiente
Guillermo García Lopez regista di Frágil equilibrio © Cinemambiente

Come siete entrati in contatto con Mujica, che allora era presidente dell’Uruguay?
All’inizio gli abbiamo scritto una lettera in cui spiegavamo il progetto. Non ricevendo risposte, dopo un po’ di tempo, mia sorella iniziò ad andare a casa di Mujica tutti i giorni e a lasciare il progetto sotto la sua porta. Finché un giorno la chiamarono dalla presidenza della Repubblica e finalmente riuscì a ottenere un appuntamento. Ricordo che mi chiamò subito dopo l’incontro, piangendo dall’emozione, perché per noi era una cosa molto importante. Era il nostro primo film e sapevamo che sarebbe stata una cosa grande, perché veniva dal cuore.

Com’è stato incontrarlo di persona?
Quando siamo andati a casa sua, Mujica aveva capito che gli avremmo fatto un’intervista di dieci minuti invece noi siamo arrivati con le telecamere e tutta l’attrezzatura e siamo rimasti lì un’ora e mezza. Il direttore della comunicazione chiedeva di tagliare, ma una volta iniziato a parlare il presidente non si fermava più!

Che atmosfera c’era a casa sua?
È stato tutto molto normale. C’era anche sua moglie Lucia Topolansky, che secondo me è responsabile almeno al 50 per cento del messaggio che lui ha costruito. Mentre eravamo lì lei cucinava e intanto preparava il discorso per il Senato.

Le inquadrature su di lui sono tutti primi piani sul volto, come mai questa scelta?
Perché non volevamo che si vedesse sullo sfondo l’ambientazione. Casa sua è molto rovinata, ma noi preferivamo non mostrare l’immagine che tutti i mass media danno di Mujica. Lo chiamano “il presidente più povero del mondo”, ma per noi lui è molto più di questo. E, inoltre, a me interessava catturare un tono molto intimista.

Una volta completato il film avete avuto modo di mostrarglielo?
Sì, ci siamo incontrati a casa di uno dei produttori a Madrid e lo abbiamo visto insieme. Poi quando abbiamo vinto il Goya l’ho chiamato ed era molto contento. Tempo dopo abbiamo organizzato una sorta di omaggio per lui in Uruguay, ma un’ora prima della proiezione del film lui ci disse che non sarebbe venuto perché c’erano troppi fan. Poi riuscii a convincerlo a venire.

Cosa vi ha detto del film?
Lui è abituato a riempire gli stadi e a parlare di fronte alle platee. Con questo film è rimasto molto sorpreso, perché ha trovato un nuovo modo di comunicare il suo messaggio. Per noi è stato molto emozionate sentirglielo dire.

José Mujica nel film Frágil Equilibrio - © Cinemambiente
José Mujica nel film Frágil equilibrio © Cinemambiente

Com’è stato fare le riprese per raccontare la storia dei migranti sul Monte Gurugù?
A Melilla siamo andati solo io e il mio socio Pedro, senza nessuna pre-produzione. Non sapevamo nemmeno come saremmo arrivati lì, perché l’esercito marocchino ha l’ordine di arrestare chiunque provi a filmare con le telecamere. Poi ci sono anche paramilitari che non fanno parte dell’esercito, che sono persone violente e razziste e spesso uccidono anche i migranti che cercano di oltrepassare il confine. C’è uno dei capi che addirittura investe i ragazzi con le auto, ma l’Unione Europea questo non ce lo racconta. Non ci racconta che i fondi per la politica migratoria vanno alla Spagna, che li dà al Marocco per costruire la barriera e bloccare i migranti, anche con la violenza.

Non avevate paura dei pericoli che stavate correndo?
Sì, quando siamo arrivati avevamo paura perché siamo solo cineasti, non siamo attivisti e non conosciamo bene le dinamiche. Così per riuscire nella missione abbiamo finto di essere turisti. Avevamo con noi solo una telecamerina e siamo riusciti ad arrivare proprio alla porta dell’accampamento militare che sorveglia l’altra collina, dove c’è l’accampamento africano. Superato il Monte Gurugù, però, tutto questo senso di avventura, anche un po’ intrepido, è finito. Non sapevamo bene come comportarci, ma la cosa incredibile è che poi sono stati proprio questi ragazzi a chiederci di riprenderli. In certi momenti parlavano guardando direttamente nella telecamera, perché non stavano parlando solo a noi, ma a tutti quelli che avrebbero poi visto quelle immagini. La loro era chiaramente una denuncia.

Dove potremo vedere il film?
In Italia lo ha già acquistato un agente e spero si trovi presto un distributore. Sarebbe bellissimo. Intanto è possibile trovare tutte le notizie sui nostri social media.

Sta già lavorando a nuovi progetti?
Ho un progetto che rimane in questo filone della fiction-non fiction e delle storie interconnesse. Mi piacerebbe girare in Messico e a Detroit, affrontando il tema dell’industria, di ciò che promette quando arriva in un posto e di ciò che lascia quando se ne va.

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